De Plato (SIFO): «La pubblicazione si propone di migliorare la gestione dei farmaci pericolosi, identificando i momenti di rischio e fornendo degli alert per la sicurezza dei sanitari»
Inalazione, assorbimento cutaneo, ingestione o iniezione accidentale. È attraverso il lavoro quotidiano che l’operatore sanitario può essere esposto a rischi non trascurabili, soprattutto durante l’allestimento di farmaci pericolosi.
«Negli ultimi decenni l’Italia, al pari di altri Paesi, si è dotata di una legislazione atta a prevenire i rischi per gli operatori e per i pazienti – spiega Francesca De Plato, Coordinatore Nazionale Area scientifico-culturale SIFO (Società Italiana di Farmacia Ospedaliera) “Rischio chimico e biologico” -. Normative che dovrebbero essere “aggiornate” in virtù dell’utilizzo sempre più diffuso di terapie innovative, come ad esempio gli anticorpi monoclonali».
All’argomento la SIFO ha dedicato un’intera pubblicazione “Farmaci pericolosi e rischio occupazionale: i fratelli sconosciuti degli antineoplastici”. «Il documento – sottolinea la dottoressa De Plato – si propone di migliorare la gestione anche dei farmaci pericolosi impiegati in ambiti specialistici non oncologici, identificando i momenti di rischio e fornendo degli alert per la sicurezza degli operatori sanitari. L’obiettivo principale è fornire ai professionisti sanitari uno strumento di utilizzo pratico e di facile consultazione».
Nello specifico, nel documento viene delineato il panorama di utilizzo dei farmaci pericolosi di ambito non oncologico sul territorio, con particolare riferimento a farmaci immunomodulatori, antimicrobici generali per uso sistemico, apparato gastrointestinale e metabolismo, sangue e organi emopoietici, sistema nervoso centrale, apparato muscolo-scheletrico, preparati ormonali sistemici, sistema genito-urinario e ormoni sessuali.
«In accordo con la definizione formulata nel 1990 dalla società americana di Farmacisti Ospedalieri e modificata dall’Istituto nazionale statunitense per la Salute e la Sicurezza Occupazionale – aggiunge l’esperta – un farmaco è ritenuto pericoloso se ha una o più delle seguenti caratteristiche: cancerogenicità (capacità di causare o promuovere lo sviluppo di un cancro), teratogenicità (capacità di causare malformazioni fetali congenite), tossicità sul sistema riproduttivo (capacità di compromettere la fertilità provocando aborto, morte fetale o infertilità), genotossicità (capacità di danneggiare il DNA determinando mutazioni), tossicità d’organo (capacità di causare effetti tossici importanti a carico di organi a basse dosi)». Ne consegue, dunque, che i farmaci pericolosi non sono solo quelli antiblastici classificati dalla IARC (Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro) come cancerogeni certi o probabili per l’uomo, aventi caratteristiche di genotossicità, ma anche altre categorie di farmaci, in grado di dare tossicità mediante un meccanismo epigenetico.
«Premesso che nessun individuo è esente da rischi di tossicità conseguenti all’esposizione a farmaci pericolosi, tant’è che per i farmaci con attività cancerogena non sono stati fissati valori soglia di esposizione professionale – dice De Plato -, è intuitivo ipotizzare la suscettibilità di alcune categorie a farmaci connotati da tossicità specifica. Ad esempio, nel caso di tossicità sul sistema riproduttivo o di teratogenitcità i soggetti in età fertile o le donne in stato di gravidanza sono a maggior rischio. Le conseguenze dell’esposizione non sono sempre pienamente prevedibili. Nel caso degli anticorpi monoclonali sono stati osservati, nei pazienti trattati a dosi sistemiche, effetti tossici con ricadute potenziali sugli operatori sanitari. Tra questi – sottolinea il Coordinatore Nazionale Area scientifico-culturale SIFO “Rischio chimico e biologico” -, la formazione di anticorpi neutralizzanti che può determinare fenomeni allergici e perdita di risposta clinica qualora fosse successivamente necessario un trattamento terapeutico. Poi, una cross-reazione con proteine endogene aventi funzione importante. Ancora, il potenziamento dell’attività immunitaria fino alla sindrome da rilascio di citochine. È stato osservato anche un rischio di aumento di incidenza di neoplasie la progressione neoplastica attraverso un meccanismo epigenetico dovuto alla loro azione farmacologica (promozione della crescita cellulare, infiammazione cronica da attività immunitaria ripetuta)».
In Italia, con il D.lgs 81/2008 (e seguenti modifiche), è stata recepita la normativa comunitaria di Igiene e Sicurezza in Ambiente di Lavoro, che prevede l’attuazione delle più alte misure di sicurezza, prevenzione e protezione (sia collettiva che individuale). Ma come viene concretamente applicata?
«Negli ospedali – risponde De Plato – vengono allestiti diversi farmaci pericolosi il cui processo di manipolazione comporta rischi non trascurabili. Ovviamente la pericolosità deve essere preventivamente stimata, poiché l’esposizione può essere favorita da operazioni che generano aerosol, quali la ricostituzione di polveri liofilizzate, di triturazione e dissoluzione di forme farmaceutiche orali. La valutazione del rischio in questo ambito richiede una conoscenza e un’attenta considerazione dei diversi aspetti inerenti alle proprietà e le caratteristiche intrinseche del singolo farmaco, ma anche delle procedure di allestimento e somministrazione, ossia delle modalità e dell’entità dell’esposizione. Quest’ultimo aspetto non può prescindere da considerazioni epidemiologiche. Farmaci pericolosi trovano impiego nella cura di patologie neoplastiche, ma non solo. Anzi, trovano sempre più impiego nella cura di malattie immunologiche e reumatologiche non maligne».
La Società italiana di farmacia ospedaliera è da tempo impegnata su questo filone grazie anche alla collaborazione permanente della sua area scientifico-culturale “rischio chimico e biologico” con l’Inail. La SIFO, infatti, è tra i promotori di emendamenti proposti alla direttiva 2004/37/CE (la cosiddetta direttiva cancerogeni mutageni) affinché vengano in essa inclusi anche i farmaci pericolosi, in aggiunta alle altre categorie di composti chimici.
«In occasione del lavoro svolto in questi anni – spiega De Plato – è emerso che la più grande difficoltà delle organizzazioni sanitarie sta nell’individuare una lista completa di farmaci cui applicare le raccomandazioni più stringenti. Finora il riferimento mondiale è stato l’elenco NIOSH, ma è lo stesso istituto a raccomandare di liste personalizzate che meglio si adattino alle realtà nazionali e che siano più flessibili rispetto ai loro tempi di inclusione, che comportano un ritardo medio di quattro anni dall’autorizzazione all’immissione in commercio».
La pubblicazione “Farmaci pericolosi e rischio occupazionale: i fratelli sconosciuti degli antineoplastici” è proprio un primo passo in questa direzione «affinché – conclude De Plato – possa essere avviata una collaborazione tra le autorità competenti per realizzare un programma completo e unitario per la gestione del rischio di esposizione a farmaci pericolosi del personale sanitario, ma anche in ambito domestico».
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