Triassi (Federico II): «Lasciamo le Ffp2 e Ffp3 agli operatori sanitari»
«Di qui al prossimo futuro dovremo abituarci a tenere sempre in viso la mascherina, non è pensabile che si prosegua ad usare le monouso. Si creerebbe un danno ambientale enorme ed inutile». La professoressa Maria Triassi, ordinario di Igiene e direttore del Dipartimento di Sanità Pubblica, Farmacoutilizzazione e Dermatologia della Federico II di Napoli, lancia un allarme in vista delle probabili ordinanze regionali che in tutta Italia si accompagneranno alla fine del lockdown e che imporranno l’uso di mascherine. «Per la vita sociale – dice Triassi – dovremmo scegliere tutti mascherine in TNT o altro tessuto tecnico impermeabile, che siano sterilizzabili e riutilizzabili». Triassi spiega infatti che queste mascherine sono quelle più efficaci per proteggere gli altri, e quindi noi stessi, dalla possibilità di un contagio. «Lasciamo che siano gli operatori della sanità ad adoperare altre mascherine di tipo Ffp2 o Ffp3, dispositivi di protezione individuale che non servono ai cittadini e che anzi se utilizzati impropriamente possono fare più danno che altro».
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Gli italiani, a differenza di molti popoli asiatici, hanno poca dimestichezza con l’uso delle mascherine nella vita quotidiana. Per questo, abbiamo chiesto alla professoressa Triassi come si procede all’utilizzo (e al riutilizzo) delle mascherine. «Per quelle in tessuto tecnico dopo ogni utilizzo si procede alla loro sterilizzazione tramite ebollizione per 30 secondi, mentre quelle in cotone poco filtrante possono essere lavate con candeggina ed eventualmente stirate prima di adoperarle di nuovo. Queste mascherine – spiega – non hanno una “data di scadenza” e possono essere usate finché non si consumano. L’Università Federico II di Napoli, a questo proposito, si sta attivando con un progetto interdipartimentale sulla validazione di alcuni tipi di mascherine riutilizzabili».
Un altro nodo dell’imminente fase 2 riguarderà le attività di sanificazione e igienizzazione degli ambienti di lavoro. «Innanzitutto ricordiamo che il virus si deposita sulle superfici, per cui è soprattutto su queste che è necessario intervenire. Le superfici vanno pulite con alcol al 60% o con derivati del cloro, come amuchina e ipocloriti, oppure con candeggina. Sono tutte operazioni abbastanza semplici, che è possibile effettuare in autonomia, non è necessario il ricorso a ditte specializzate, che prevedrebbe lo stesso risultato a fronte, però, di costi esorbitanti. Naturalmente gli ambienti sanitari e quelli ad elevato rischio biologico richiedono un procedimento più approfondito, sempre però effettuabile in autonomia».
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