Il presidente di Federmoda Roma: «Un capo di abbigliamento va provato prima dell’acquisto, i tessuti toccati a mani nude e non con i guanti. Difficile gestire i resi garantendone l’igienizzazione»
Sanificazione dei locali due volte al giorno, gel disinfettante per le mani all’ingresso, mascherine e guanti a disposizione di clienti e commercianti. Ancora, areazione e rispetto del distanziamento sociale. Sono queste alcune delle linee guida per la riapertura degli esercizi commerciali (a negozi di abiti per bambini, cartolerie, librerie è stato già permesso di alzare le saracinesche) in attesa che, nei prossimi giorni, siano messe a punto le regole definitive.
Ma i commercianti sono davvero pronti a rispettarle, garantendo la propria sicurezza e quella dei clienti, scongiurando così l’insorgenza di nuovi focolai? «Delle regole se ne sente tanto parlare, ma di fatto – dice Davide Sermoneta, presidente di Confcommercio centro Roma e Federmoda Roma, a Sanità Informazione – un documento specifico non esiste. E se dovessimo attenerci “al sentito dire” la fase 2 ci spaventa più della fase 1: durante quest’ultima avevamo la certezza di dover restare chiusi, nella fase due; invece, potremmo avere la possibilità di aprire ma, certamente, non quella di lavorare. Le norme del distanziamento sociale, e tutte quelle a cui dovremmo attenerci, non prendono in considerazione le dinamiche della vendita».
Facciamo qualche esempio concreto. Chi è a contatto con i clienti dovrebbe indossare guanti e mascherine, laddove non fosse possibile mantenere la distanza di sicurezza di un metro. E nel caso della vendita al dettaglio di abiti ed accessori sia clienti che esercenti dovrebbero essere muniti di questi dispositivi di sicurezza. «Ma – sottolinea il presidente di Confcommercio centro Roma e Federmoda Roma – un capo di abbigliamento va innanzitutto toccato e non con i guanti, che non permetterebbero di valutare la qualità del tessuto. E di toccare ogni cosa a mani nude, almeno in teoria, non dovrebbe essere permesso. E seppure fosse concesso solo dopo un’accurata detersione delle mani con un apposito gel disinfettante, quali accorgimenti dovremmo prendere, invece, prima di far misurare un capo di abbigliamento? – chiede Sermoneta -. Quante persone acquisterebbero un pantalone, un vestito, una giacca, senza poterlo provare? E, ammesso che si evitasse la prova nel camerino dell’esercizio commerciale per limitare al minino la possibilità di eventuali contagi, cosa accadrebbe una volta a casa? Almeno a questo punto l’abito acquistato andrebbe provato», aggiunge il commerciante.
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E da qui un altro interrogativo: sarà necessario lavarlo con un detersivo igienizzante? Il buon senso, considerando che molti esperti consigliano di disinfettare anche i contenitori degli alimenti prima di riporli in frigo o in dispensa, suggerirebbe di sì. E se il cliente lava il vestito in questione, poi lo indossa per una prova e scopre che è troppo grande o troppo piccolo o che semplicemente non gli piace? «In teoria – dice Sermoneta – sarebbe un suo diritto rendere quel capo di abbigliamento. E se mi viene restituito, che faccio? Lo metto in quarantena? Lo devo sanificare?», ironizza.
E proprio sulla sanificazione, quella degli ambienti, c’è ancora poca chiarezza: «Sappiamo che andrebbe fatta due volte al giorno, ma da chi e come sono informazioni che stiamo ancora cercando di chiarire», precisa Sermoneta. Di certo, tra le misure economiche varate dal Governo per affrontare la crisi connessa alla diffusione del Coronavirus nel Paese, c’è anche il bonus sanificazioni che copre il 50% della spesa sostenuta e debitamente documentata, con la previsione di un limite massimo per ciascun beneficiario di 20mila euro.
Intanto però qualche commerciante le saracinesche le ha già alzate: «I negozi per bambini avrebbero già potuto riaprire, ma sono pochi ad aver fatto questa scelta – spiega il presidente di Confcommercio centro Roma e Federmoda Roma -. Ad ogni modo, comprare un vestito o delle scarpe per un bambino è una necessità e, pertanto, non avendo altra scelta ci si accontenta anche di un acquisto veloce».
Tra le altre regole da rispettare, l’eventuale ampliamento delle fasce orarie per evitare il sovraffollamento, la presenza di non più di tre persone (due operatori e un cliente) in spazi di 40 metri quadri e la regolamentazione di percorsi di entrata e di uscita differenti, laddove ci siano due diverse porte di accesso. Tutte regole che assieme all’uso dei guanti e delle mascherine, al distanziamento sociale, alla sanificazione, per David Sermoneta «non sarebbero compatibili con la dinamica di vendita di abiti, scarpe, accessori, gioielli. Verrà permesso di aprire – aggiunge – ma sarà impossibile lavorare. A meno che le regole non vengano riviste ed adattate alle delle diverse tipologie di vendita. Solo in questo modo – conclude Sermoneta – saranno rispettati sia il diritto alla tutela della salute di clienti e lavoratori, che quello dei commercianti a lavorare nel modo adeguato».
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