Cirrosi, ipertensione portale e steatosi: al 56° Congresso AISF le novità per diagnosi e trattamento delle malattie del fegato. Il progresso tra prevenzione e terapia
Aumenta tra i giovani l’abitudine di consumare sempre più bevande alcoliche al di fuori dal pasto. Dalle stime dell’Istat e dell’Osservatorio nazionale alcol dell’Istituto Superiore di Sanità emerge che circa 35 milioni di italiani sopra gli 11 anni di età consumino bevande alcoliche (78,1% di uomini e 53,5% di donne) e che, di questi, più di 8,6 milioni abbiano una modalità del bere a rischio. A discuterne sono stati centinaia di specialisti, riunitisi a Roma nei giorni scorsi, in occasione del 56° Congresso Nazionale dell’Associazione Italiana per lo Studio del Fegato. Nel biennio 2021-2022, solo il 42% degli adulti di età compresa tra i 18 e i 69 anni dichiara di non consumare bevande alcoliche, mentre una persona su sei (17%) ne fa un consumo definito a “maggior rischio” per la salute, per quantità o modalità di assunzione. Il 9% si caratterizza per consumi episodici eccessivi, secondo il fenomeno del binge drinking (5 o più unità alcoliche in una unica occasione per gli uomini e 4 o più per le donne). Il consumo a “maggior rischio” è più frequente tra i giovani e in particolar modo tra i giovanissimi (fra i 18-24enni la quota sfiora il 35%), fra gli uomini (21% vs 13% nelle donne) e tra le persone socialmente più avvantaggiate (19% vs 14%).
Preoccupa anche il numero di persone che assume alcol pur avendo una controindicazione assoluta, come i pazienti con malattie del fegato, tra i quali il 52% dichiara di aver consumato alcol nei 30 giorni precedenti l’intervista. Il consumo di alcol a “maggior rischio” resta una prerogativa dei residenti nel Nord Italia (con un trend in aumento), in particolare il nord-est. “Il consumo di alcol in Italia sta subendo cambiamenti – evidenzia Giacomo Germani, Gastroenterologo, Unità Trapianto Multiviscerale, Azienda Ospedale-Università di Padova -. Se prima era prevalente il consumo di vino durante il pasto, emergono percentuali del 40% per gli uomini e quasi il 20% delle donne che consumano alcolici fuori pasto. I dati cambiano poi a seconda dell’età, con i giovani che consumano più birra o altri alcolici. I consumatori abituali eccedentari tra i 16-17 anni registrano la percentuale più elevata, con il 35% dei maschi e il 29% delle femmine. Questo determina un problema sociale oltre che di salute. Nel 2021 circa 3 milioni italiani sopra gli 11 anni che hanno consumato alcol con modalità “binge drinking”, tra questi il 9.5% erano uomini e 3.6% donne. Un altro dato allarmante è che c’è una fascia d’età molto giovane, compresa tra gli 11 e i 17 anni, in cui il 17% dei maschi e il 14% delle femmine ha assunto alcol”.
Gli effetti nocivi dell’alcol sulla salute possono essere di diverso tipo, senza contare che sono particolarmente gravi nei minori in quanto fino a 18 anni gli enzimi non sono ancora maturi per metabolizzarlo, aumentando così anche il rischio di provocare un coma etilico. “L’alcol può avere effetti sul fegato che vanno dalla steatosi (l’accumulo di grasso) fino alla cirrosi, all’epatocarcinoma e all’epatite acuta alcol correlata, che ha un’elevatissima mortalità – spiega ancora Giacomo Germani –. Ci sono poi i danni indiretti, come gli incidenti stradali, oltre ad altre patologie che colpiscono altri organi e a livello sistemico. Le preoccupazioni per la salute emergono anche in prospettiva: una popolazione giovanile che consuma alcol in quantità significative già dagli 11 anni d’età si espone in prospettiva a un elevato rischio di malattia epatica, soprattutto se in presenza di altre patologie o di predisposizione genetica. Anche il binge drinking è un fattore di rischio: insieme ad altri cofattori come il diabete o la predisposizione genetica nel lungo periodo può accentuare lo sviluppo di malattia epatica cronica e in particolare la cirrosi”.
Recenti studi illustrano importanti progressi in tema di diagnosi e trattamento delle malattie del fegato. Tra le novità più significative, vi è la possibilità di passare da una cirrosi scompensata a una ricompensata, il Test ELF che con un semplice prelievo del sangue permette di identificare il rischio di sviluppare complicanze gravi della steatosi epatica non alcolica, il TIPS come approccio terapeutico sempre più efficace nei confronti dell’ipertensione portale. Per anni si è pensato la malattia epatica scompensata fosse una condizione irreversibile, un punto di non ritorno in cui il trapianto di fegato costituiva l’unica soluzione per non andare incontro al decesso. Negli ultimi mesi sono emersi importanti dati che hanno confutato questo dogma. “Se si interviene sulla causa della malattia di fegato (astensione da bevande alcoliche, eradicazione dell’Epatite C, soppressione della replicazione del virus dell’Epatite B) la funzione del fegato può migliorare significativamente fino a un quadro di ricompensazione, ossia tornare a una fase compensata della malattia, nella quale le complicanze sono assenti e i sintomi sono modesti. La ricompensazione si associa ad un miglioramento della quantità e della qualità della vita – sottolinea Salvatore Piano, Medicina Interna indirizzo epatologico, Dip. Medicina, Università di Padova –. Inoltre, come rilevano i dati presentati in sede congressuale, i pazienti che ottengono la ricompensazione mostrano una sopravvivenza sovrapponibile a quella dei pazienti che non hanno mai avuto un episodio di scompenso”.
Alcuni pazienti affetti da steatosi epatica non alcolica hanno un maggior rischio di sviluppare eventi cardiovascolari, uno scompenso della funzione epatica o un tumore del fegato. Per valutare questi rischi è da poco stato introdotto un nuovo sistema non invasivo. “Fino a poco tempo fa, l’unico strumento disponibile per valutare i rischi di aggravamento della malattia epatica o di complicanze cardiovascolari era un metodo invasivo di misurazione della fibrosi epatica, ossia una biopsia epatica per valutare il grado di fibrosi nel fegato – spiega Antonio Liguori, UOC Medicina Interna e Trapianto di Fegato, Policlinico A. Gemelli, IRCCS –. Recentemente sono stati sviluppati test non invasivi che si possono condurre con un semplice prelievo di sangue, attraverso i quali si può valutare sia la capacità di distinguere il grado di avanzamento della patologia epatica, sia stratificare il rischio futuro di questi eventi sfavorevoli. Uno di questi metodi diagnostici innovativi e non invasivi è il Test ELF, che misura le proteine che derivano dalla degradazione del collagene. Maggiore è il valore di questo biomarcatore, più è elevato il rischio negli anni di sviluppare le complicanze della patologia epatica. Questo biomarcatore ha una funzione prognostica, ovvero consente di capire il rischio che il paziente ha di sviluppare queste complicanze in futuro e di conseguenza di indicarci le adeguate contromisure da prendere. Rispetto a una biopsia, questa procedura è molto meno invasiva, è semplice, economica e non presenta complicanze. Inoltre, vista la semplicità, è utile sottoporre al Test ELF tutti i pazienti affetti da malattia epatica legata al grasso, con particolare attenzione per coloro che abbiano un’evidenza di steatosi epatica all’ecografia e comorbidità come diabete, ipertensione arteriosa, obesità”.
Un’altra innovazione significativa consiste nel trattamento mini-invasivo delle complicanze dell’ipertensione portale con il TIPS (Shunt Portosistemico Intraepatico Transgiugulare). L’ipertensione portale è una complicanza delle malattie epatiche croniche come la cirrosi; si presenta quando la pressione sanguigna nella vena porta (la vena principale che trasporta il sangue dall’intestino al fegato) diventa troppo elevata; può provocare sanguinamenti gastrointestinali e la comparsa di ascite, ovvero l’accumulo di liquido a livello addominale. “Il TIPS è un intervento di radiologia interventistica che consiste nella creazione di uno shunt, una connessione, tra un ramo della vena porta e una vena epatica – spiega Dario Saltini, gastroenterologo, AOU Modena, Università di Modena e Reggio Emilia – Si esegue con un approccio mini-invasivo tramite una piccola puntura su una vena del collo (la vena giugulare interna) attraverso la quale si raggiunge l’interno del fegato, dove si crea questo bypass rilasciando uno stent ricoperto. Negli ultimi anni, grazie a sviluppi tecnici e clinici, il TIPS si è affermato come terapia efficace e sicura per il trattamento dell’ipertensione portale. Recenti studi hanno permesso di migliorare l’identificazione dei pazienti più idonei al posizionamento del TIPS, in base a vari parametri, tra i quali la funzionalità renale, la performance cardiaca e la massa muscolare. Al congresso AISF sono stati presentati i risultati di uno studio che ha coinvolto 4 centri italiani (Modena, Roma, Firenze, Padova) a supporto di un approccio innovativo per il posizionamento del TIPS: l’utilizzo di stent di diametro minore rispetto al trattamento convenzionale riduce gli effetti collaterali mantenendo elevata l’efficacia terapeutica”.
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