Pur non essendo un’aritmia di per sé pericolosa per la vita, la fibrillazione atriale può esporre a delle complicanze che, in alcuni casi, possono rivelarsi molto invalidanti. Se n’è parlato al convegno “Presa in carico assistenziale e terapeutica del paziente anziano” organizzato a Roma da Onda e Daiichi Sankyo
La fibrillazione atriale è l’aritmia più diffusa tra la popolazione e la sua prevalenza tende a crescere con l’aumentare dell’età. Pur non essendo un’aritmia di per sé pericolosa per la vita, può esporre a delle complicanze che, in alcuni casi, possono rivelarsi molto invalidanti. Si tratta di una condizione che colpisce in particolar modo il paziente anziano e per questo è stata oggetto di discussione durante al convegno “Presa in carico assistenziale e terapeutica del paziente anziano” organizzato a Roma da Onda, Osservatorio Nazionale sulla salute della donna e di genere, e Daiichi Sankyo. Ne abbiamo parlato con il dottor Maurizio Paciaroni, responsabile della Stroke Unit dell’Ospedale di Perugia.
Tra le patologie frequenti nel paziente anziano c’è la fibrillazione atriale, una malattia che può portare anche all’ictus. Cosa si può fare per tenere sotto controllo la patologia?
«Per prevenire l’ictus nel paziente con fibrillazione atriale bisogna utilizzare gli anticoagulanti orali. Soprattutto i nuovi anticoagulanti orali, usciti qualche anno fa, che si sono dimostrati efficaci e utili anche nella persona anziana che logicamente ha problematiche diverse rispetto ad un paziente più giovane, soprattutto per le terapie, perciò ci può essere un’interazione tra il farmaco e i farmaci delle patologie di cui soffre. Tuttavia, c’è anche un’altra cosa importante: un’interazione tra farmaco e malattia, perché il paziente anziano soffre di tante malattie, conseguentemente ci sono alcuni farmaci che possono essere utili per l’una, ma pericolosi per l’altra. Gli anticoagulanti diretti nei pazienti con fibrillazione atriale, rispetto al vecchio coumadin o al vecchio warfarin, si sono dimostrati più maneggevoli anche da questo punto di vista, nel senso che può essere utilizzato sia per le minori interferenze farmacologiche che per ridurre l’interferenza farmaco-farmaco anche in pazienti che soffrono di altre patologie».
Il problema è anche l’aderenza terapeutica, perché spesso i pazienti che hanno avuto ictus hanno anche un declino cognitivo. Cosa si può fare in questi casi?
«Sicuramente bisogna parlare con i caregiver, cioè ai familiari di questi pazienti, per far sì che obiettivamente la terapia venga fatta in maniera congrua. Poi possono essere utilizzati anche delle nuove tecnologie che possono in qualche modo risultare utili. Ad esempio processi computerizzati che possono avvertire i familiari del trattamento da fare in maniera corretta, ma non solo i familiari, anche persone che possono stargli vicino, penso ai badanti. Sicuramente c’è la possibilità di aiutare il paziente anziano».