Il segretario della Federazione dei medici di Famiglia continua a invocare risorse per il settore «o i cittadini rischiano di dover pagare servizio sanitario». Rapporto tra spesa sanitaria e Pil «non scenda sotto il 6,5% come dice l’OMS»
«Medici e pazienti, insieme alla politica, sostengano quel ‘ponte’ che è il Servizio sanitario nazionale prima che cada». L’immagine, evocativa e che richiama la tragedia di Genova, è stata usata dal segretario nazionale della Fimmg Silvestro Scotti durante il 75esimo Congresso della Federazione dei Medici di famiglia che si svolge al Complesso Chia Laguna – Domus de Maria (Cagliari) e che ha visto dopo due anni il rinnovo delle cariche, con Scotti rieletto segretario e componenti dell’Esecutivo Nazionale e Vice Segretari Pier Luigi Bartoletti, Nicola Calabrese, Fiorenzo Massimo Corti, Domenico Crisarà, Renzo Le Pera, Malek Mediati.
Un’assise a cui hanno partecipato 1500 delegati da tutte le province d’Italia, proprio a voler sottolineare lo strettissimo rapporto tra medici di famiglia e territorio: una presenza capillare, spina dorsale della sanità italiana. Il Congresso, il cui slogan è “Potenziare la medicina generale per migliorare l’active ageing”, si è svolto proprio mentre a Roma si decide delle risorse da destinare alla sanità italiana nella legge di Bilancio 2019, una battaglia cruciale per il futuro del Sistema sanitario nazionale: «Se il Pil aumenta – spiega il Segretario Fimmg – e la spesa sanitaria resta ferma il rischio è che i cittadini dovranno pagarsi le spese sanitarie». E non sono mancate le risposte della politica, dal Ministro Giulia Grillo che ha inviato un videomessaggio al viceministro all’Economia Massimo Garavaglia che ha annunciato per quest’anno un aumento dei fondi per la sanità. Altro passaggio cruciale quello sulla formazione dei Medici di medicina generale, ancora ‘Cenerentola’ rispetto alle scuole di specializzazione: «La gestione della formazione – continua Scotti – non può che rimanere, se vogliamo un Servizio sanitario nazionale, nelle mani di un controllo centralizzato». Con Silvestro Scotti Sanità Informazione ha tracciato un bilancio di questo 75esimo Congresso nazionale Fimmg.
Segretario Scotti, un bilancio di questo 75esimo Congresso FIMMG. La sua relazione ha toccato diversi punti: risorse, nuove assunzioni e riportare la figura del medico di famiglia in auge.
«Riassumerei con quello che mi ha detto un delegato: ‘Hai riportato dignità alla Medicina Generale’. Il discorso sulle risorse non è solo di tipo economico, abbiamo chiesto risorse motivazionali in cui ci sono anche quelle economiche, c’è bisogno di attenzione rispetto a una proposta assistenziale che tiene insieme il Servizio sanitario nazionale. Dobbiamo affrontare i temi della carenza dei medici, della depressione motivazionale dei medici di Medicina generale sommersi e ghettizzati da piani terapeutici, del mancato investimento rispetto a una capacità di sviluppo organizzativo su iniziativa del medico e non imposta in pacchetti precostituiti o strutturali. Devo dire, anche la politica ha iniziato a comprendere che non ci può essere un cosiddetto modello unico del territorio. Il territorio ha bisogno di elasticità, flessibilità e forse anche della fantasia dei medici di famiglia che è stata dimostrata nell’adattatività di tutti questi anni che li hanno portati dalla notula alla quota capitaria agli obiettivi di organizzazione. Oggi chiediamo obiettivi e redditività connessi agli indicatori di salute dei pazienti che credo sia il modo migliore per dimostrare ai nostri pazienti che teniamo a loro, al Servizio sanitario nazionale e a questo Paese».
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Si parlava di risorse, abbiamo sentito il viceministro Garavaglia prendere un impegno sull’aumento delle risorse, non solo in senso assoluto ma anche in rapporto al Pil, un dato in questi anni sempre in calo. Qual è la soglia per considerare non abbandonato il Servizio sanitario nazionale?
«Questo non lo dico io ma lo dice l’OMS: il rapporto spesa sanitaria-Pil non deve scendere sotto il 6,5%. Anche l’eventuale ragionamento che si sta facendo in questo momento, ovvero l’aumento del deficit, determinerà nell’intenzione politica di questo governo, e io voglio essere fiducioso in questo senso anzi voglio accreditarlo, l’aumento del Pil. Il problema è che se non aumenti proporzionalmente la spesa sanitaria e il Pil aumenta il rapporto Pil-spesa sanitaria in proporzione diminuirà e bisognerà dire ai cittadini che evidentemente rispetto a un sistema economico che potrà apparire migliorato ci sarà un servizio sanitario che forse si dovranno pagare. Quest’anno, l’ho già detto, in Italia è caduto un ponte. Un ponte è un simbolo dello Stato, è simbolo della garanzia che un cittadino non pensando, quando percorre una strada, che quel ponte non possa reggere. Io penso che bisognerebbe riflettere sul fatto che anche il Servizio Sanitario è un ponte, qualcuno sta pensando di darlo ai concessionari quando oggi dice che i concessionari non hanno mantenuto in piedi quel ponte? Beh, io rifletterei molto su questa cosa. Abbiamo portato al Congresso un’immagine molto significativa che era un omaggio a Genova, non vuole essere una speculazione ma vorrebbe fare in modo che medici e pazienti siano sotto quel ponte a sostenerlo, insieme alla politica, prima che cada il Servizio sanitario».
Un altro degli aspetti che lei ha citato per riportare il medico di famiglia in serie A è quello legato alla formazione. Si sta riflettendo molto su come implementarla, se fare alcune modifiche. C’è anche questo come elemento da colmare?
«Io credo che il problema vero rispetto all’evoluzione delle autonomie regionali non sia tanto la dinamica contrattuale quanto piuttosto quella formativa. La gestione della formazione non può che rimanere, se vogliamo un Servizio sanitario nazionale, nelle mani di un controllo centralizzato. Sistemi che organizzino la formazione dei professionisti della sanità sulla base dell’immaginario modello regionale creeranno problemi importanti. Abbiamo già una carenza di medici e non penso che possiamo scatenare in futuro una guerra contrattuale a forza di euro per accaparrarsi il medico da un’altra regione. Significherà rendere ancora più povere regioni che hanno investito nella loro gioventù, formandola, per lasciarle anche povere dei professionisti che hanno formato. Su questo si sta riflettendo poco. Bisogna comunque qualificare la formazione, abbiamo bisogno come ho detto della creazione di una scuola. Abbiamo bisogno di indicatori sui formatori, non possiamo più dare come offerta ai giovani un’offerta formativa della Medicina generale che non sia attraverso dei formatori qualificati, che siano identificati in una disciplina: questo rende specialità una scuola, per definizione. Io non credo a percorsi solo accademici. In tutto il mondo come in Europa il percorso formativo inizia e finisce passando attraverso tutti i sistemi: università, ospedale, territorio. Il paziente vuole un medico che abbia formazione di alto livello ma anche esperienza di alto livello e l’esperienza si fa solo sul campo».