L’ex ministro della Salute, membro del Comitato dio Bioetica, contesta la decisione della Corte Costituzionale sul fine vita: «La Corte dovrebbe guardare se è costituzionale o no una legge: questa volta è entrata in un merito un po’ etico. Non mi piacciono gli Stati etici, preferisco gli Stati che hanno una legislazione chiara di cui è responsabile il Parlamento che è eletto dai cittadini»
«Non mi piacciono gli Stati etici, preferisco gli Stati che hanno una legislazione chiara di cui è responsabile il Parlamento che è eletto dai cittadini». Mariapia Garavaglia, ex ministro della Salute e membro del Comitato nazionale di Bioetica, commenta così a margine del Congresso dell’Associazione nazionale tecnici di laboratorio la sentenza della Consulta che ha ritenuto non punibile ai sensi dell’articolo 580 del codice penale, a determinate condizioni, “chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”. Garavaglia sottolinea che «lo Stato deve garantire la dignità della vita non la dignità del morire» e che la sentenza mette in discussione lo stesso servizio nazionale sanitario: «Se lo Stato abbandona le persone la legge 833 diventa inutile».
Cosa pensa della sentenza della Consulta?
«Temo questa sentenza. Quando si dice ‘casi limitati’ si introduce una discrezionalità e incomincia un pendio scivoloso. Chi ama l’uomo, la persona, la sua dignità e ama il Sistema sanitario nazionale deve stressare la medicina, lo Stato deve aiutare le famiglia altrimenti non so perché si chiama Sistema sanitario universalistico che serve la dignità della persona. Se a un certo punto di fronte a una difficoltà enorme, di fronte a una malattia inguaribile e incurabile c’è la possibilità di stare vicino e di esprimere affetto e che lo Stato invece abbandona le persone, diventa inutile sia la legge 833 (che ha istituito il Servizio sanitario universale, ndr) che il valore dello Stato. Lo Stato ci deve garantire la dignità della vita non la dignità del morire. Non è un diritto morire come non è un diritto nascere nel senso che veniamo alla vita chiamati da qualcuno che ha il diritto e la responsabilità di procreare. Questi due termini, nascita e morte, hanno in mezzo una cultura che deve valorizzare l’accompagnamento in tutte le fasi della vita di qualsiasi cittadino. Allo Stato chiedo di non lasciarmi solo soprattutto quando è ora di morire, perché il suicidio è certamente solitudine».
Pensa sia opportuno a questo punto che il Parlamento legiferi sul tema?
«Il Parlamento in dieci mesi, anche se è vero che c’è stata la crisi di governo, ha fatto poco. Le Commissioni non hanno messo nemmeno all’Ordine del giorno la discussione, per cui la Corte ha deciso di non rinviare. Credo che come è stato per la legge 219 (legge su DAT e consenso informato, ndr) e a suo tempo la legge 40 sulla fecondazione assistita, in Parlamento avverrà uno scontro culturale. Io sono cattolica ma su questi temi voglio essere laica perchè sono diritti inviolabili della persona. Ritengo che in Parlamento ci siano laici e cattolici che la pensano alla stessa maniera. Numericamente non so da che parte pende la bilancia. Il Parlamento è la sensibilità del Paese: potrebbero emergere tutte quelle sottigliezze di ragionamento, quelle perplessità quei sentimenti che renderebbero la legge, qualora si facesse, più aderente al Paese. La Corte dovrebbe guardare se è costituzionale o no una legge: questa volta è entrata in un merito un po’ etico. Non mi piacciono gli Stati etici, preferisco gli Stati che hanno una legislazione chiara di cui è responsabile il Parlamento che è eletto dai cittadini».