Il 58% di chi si rivolge alle cure alternative usa piante medicinali. Cresce l’attenzione anche nel resto del mondo: in Gran Bretagna il fitoterapeuta è una categoria professionale istituzionalizzata con percorso formativo universitario dedicato
All’inizio di tutto c’era quel che oggi chiamiamo fitoterapia. Le piante rappresentavano l’unico – o comunque il più efficace – rimedio a diversi malanni. Oggi, dopo millenni di ricerca, la farmaceutica che consideriamo moderna è, per ovvi motivi, molto diversa ed evoluta, ma spesso e volentieri medici e pazienti preferiscono integrare una determinata terapia con prodotti naturali.
La fitoterapia (dalle parole greche “phyton”, pianta, e “therapéia”, cura) è proprio quella pratica in cui vengono utilizzate piante medicinali in accompagnamento o sostituzione dei farmaci “da laboratorio”. La differenza tra i due tipi di medicina è, sostanzialmente: il veicolo attraverso cui viene assunto il principio attivo. Mentre nel caso della fitoterapia si parla di fitocomplesso, ovvero l’insieme di tutte le sostanze presenti nella droga vegetale, nella medicina moderna il mezzo sono la pillola e la soluzione. La pianta medicinale ha dunque un principio attivo che resta nel suo “habitat naturale”, mentre il farmaco viene trattato con altre sostanze. Cambia praticamente tutto, eccezion fatta per il principio attivo e per l’attenzione che viene data alla preparazione di entrambe le tipologie di rimedio. È sbagliato dunque pensare che nella fitoterapia ci sia un lavoro meno accorto e più “grezzo”.
Certo, c’è da fare una distinzione all’interno della categoria. Come è possibile leggere nella “Normativa del medicinale fitoterapico e dei prodotti erboristici” elaborato dalla SIFIT (Società Italiana di Fitoterapia), fino alla fine degli anni ’90 il termine “fitoterapico” indicava esclusivamente un prodotto farmacologico derivato dall’ «estrazione o da altri procedimenti chimici o fisici applicati alle piante medicinali». Per questo motivo veniva definito fitoterapico un «farmaco propriamente detto, registrato o tradizionale, ufficialmente riportato nelle diverse Farmacopee mondiali o in testi di riferimento». Successivamente, però, tantissimi prodotti vegetali, complessivamente definiti come botanicals, hanno iniziato a «debordare dall’esigente mondo del medicinale e, con valenze decisamente più basse, ma sempre più sfumate, hanno iniziato a inserirsi nel mondo dell’integrazione nutrizionale e della cosmetica». È evidente dunque come sia diventato oggi difficile «tracciare una demarcazione fra fitoterapia e integrazione salutistica e così, almeno dal punto di vista biologico, tra medicinali e non medicinali». È insomma diventato difficile dare un significato univoco al termine. Il Ministero della Salute ha cercato di fare chiarezza, classificando – nella sezione dei medicinali dedicata ai “fitoterapici” – il fitoterapico come farmaco, aggiungendovi il prefisso “medicinale” e distinguendolo dal non farmaco come “Prodotto di erboristeria”.
Il prodotto fitoterapico può avere anche utilità diverse da quelle medicinali in senso stretto. Secondo la SIFIT, infatti, «la maggior parte delle specie botaniche conosciute per le loro proprietà salutistiche non hanno prodotti di riferimento ad uso medicinale e per questo motivo possono essere utilizzate solo con l’obiettivo di mantenere in buono stato di salute, prevenire possibili stati patologici ed integrare stati di carenza nutrizionale». Parliamo, in questo caso, di integratori alimentari o, se si tratta di sostanze che non possono essere ingerite, di cosmetici.
Insomma, la fitoterapia è la medicina più antica ma ha ancora un grande fascino, sia nel nostro Paese che all’estero. Il 58% degli italiani che si rivolgono alle cure alternative usa piante medicinali, mentre in Gran Bretagna il fitoterapeuta è una categoria professionale istituzionalizzata con percorso formativo universitario dedicato.