«Fondazione Maugeri per un verso finanzia progetti di ricerca, – dichiara il Presidente Gualtiero Brugger – dall’altra, vuole essere un riferimento culturale di stimolo nello studio e nello sviluppo di attività di prevenzione e cura a supporto del paziente fragile»
Oltre 2milioni e 400 mila euro sono stati destinati alla ricerca per la cura del paziente fragile. Da Fondazione Maugeri è partita la sfida ad una delle battaglie più complesse della sanità che riguarda un numero crescente di persone: dai malati cronici, agli anziani over 65 anni che tra 25 anni rappresenteranno il 22 per cento della popolazione, per toccare il 33 percento nel 2045. Dati che richiedono un duplice impegno: reperire fondi e sviluppare nuove tecnologie per migliorare la qualità della vita dei pazienti fragili. Una partita che Fondazione Maugeri, oggi presente in sette regioni italiane con 22 istituti e 2300 posti convenzionati, 3600 addetti e 650 medici, sta giocando in prima linea: «Fondazione Maugeri per un verso finanzia progetti di ricerca, – dichiara il Presidente Gualtiero Brugger – dall’altra, vuole essere un riferimento culturale di stimolo nello studio e nello sviluppo di attività di prevenzione e cura a supporto del paziente fragile».
Quali sono i vostri ambiti di intervento? «Il paziente fragile ha delle alterazioni da un punto di vista medico, infiammatorio e immunitario. – Sottolinea il Professor Antonio Spanavello, direttore programmi scientifici di Fondazione Salvatore Maugeri – Queste alterazioni si esplicano in un quadro clinico di riduzione della forza muscolare, riduzione delle capacità di attività di vita quotidiana come camminare e spostarsi; noi stiamo studiando tre aree che riteniamo di primaria importanza. Nello specifico: l’area cardiovascolare con malattie come lo scompenso cardiaco, gli esiti di malattie ischemiche, l’area respiratoria, pneumologica, in questo caso pensiamo al paziente con insufficienze respiratorie, ventilato, in ossigenoterapia o con asma severo; poi la terza area, quella neurologica e neuromotoria che riguarda tutte le malattie come il morbo di Parkinson, la sclerosi laterale amiotrofica, meglio nota come SLA, la sclerosi multipla, ma anche alcuni tipi di Ictus».
La tecnologia applicata alla medicina, quali sono le novità per la gestione e la cura dei pazienti fragili? «In Fondazione Maugeri abbiamo sviluppato delle applicazioni che consentono a pazienti particolarmente fragili o affetti da malattie croniche progressive, come la sclerosi laterale amiotrofica (SLA), di comunicare col mondo circostante, di controllare un computer in tutte le sue funzionalità e in tutti i programmi, e di gestire anche dei dispositivi dell’ambiente domestico come la televisione, il dvd, accendere e spegnere una luce e addirittura regolarne l’intensità – racconta Marco Caligari coordinatore del laboratorio di domotica dell’IRCCS Salvatore Maugeri – questi dispositivi in alcune malattie come la SLA seguono il paziente dall’inizio fino ad una fase più avanzata, fornendo dei metodi di accesso facilitato, di volta in volta, adatti alla capacità motoria che in quel momento presenta il paziente».
Da un punto di vista psicologico, la tecnologia come agisce? «Il fatto di poter comunicare, affermare ancora la propria esistenza, le proprie idee, cambia molto nel modo con cui il paziente affronta la malattia. Abbiamo visto pazienti che hanno riacquistato la voglia di vivere grazie alla tecnologia. Ricordo un amico affetto da SLA che mi scriveva – continua Marco Cagliari – di sentirsi come un pacco che veniva spostato dal letto alla carrozzina e viceversa ed era così depresso in questa situazione che quando veniva messo a letto la sera, pregava di non svegliarsi più. Mentre dopo avergli fornito uno strumento di comunicazione ed avergli permesso di entrare in contatto con tutti i suoi amici che lo tenevano informato durante la giornata, gli scrivevano messaggi, lui mi diceva di sentirsi rinato e quindi la sera non sperava più di morire, ma di svegliarsi il giorno successivo per sentire i suoi amici».
Il futuro in questo ambito dove ci porta? «Sarà importante riuscire a sviluppare dispositivi sempre più performanti che permettano di comunicare anche in fasi in cui oggi tendenzialmente falliamo. Ovvero quando spariscono nella SLA tutti i movimenti volontari, compresi i movimenti oculari oggi si cerca di rilevare dei movimenti encefalografici, – conclude il coordinatore del laboratorio di domotica – che però in pazienti tanto compromessi, anche nelle aree frontali, difficilmente si riesce ad ottenere qualcosa di valido per la comunicazione. Ecco, questa sarebbe davvero una grande conquista».