Il segretario nazionale di CODICI – Centro per i diritti del cittadino torna sul tema del mancato adempimento dell’obbligo formativo e rilancia: «È bene che appunto il consumatore venga messo nelle condizioni di conoscere chi è il professionista e le competenze che ha acquisito su quel caso specifico caso o su una determinata patologia»
Una sorta di ‘curriculum’ da consegnare al paziente in cui, tra le altre cose, il medico indichi il percorso di aggiornamento professionale svolto. È l’idea lanciata da Ivano Giacomelli, Segretario nazionale di CODICI – Centro per i diritti del cittadino, associazione da sempre attenta ai diritti dei consumatori e dei pazienti. La proposta nasce dopo che il caso del mancato aggiornamento professionale dei camici bianchi, che secondo i dati forniti dal presidente FNOMCeO Filippo Anelli riguarderebbe il 20% dei medici, è stato oggetto anche di un servizio di Moreno Morello a Striscia La Notizia. «Poiché siamo ormai in un regime di libera scelta molto di mercato è bene che appunto il consumatore venga messo nelle condizioni di conoscere chi è il professionista e le competenze che ha acquisito su quel specifico caso o una determinata patologia», continua ancora l’avvocato Giacomelli, che poi sottolinea: «È evidente che il mancato aggiornamento e la mancata applicazione di tecniche innovative determinano un danno». Il tema dell’aggiornamento professionale dei camici bianchi è tornato alla ribalta dopo la sentenza della Commissione Albo Odontoiatri di Aosta che, per la prima volta in Italia, ha sanzionato un medico colpevole di non aver rispettato gli obblighi dell’ECM.
Segretario, ultimamente si sta parlando molto del problema dei crediti formativi dei medici e del mancato aggiornamento professionale. È stata Striscia la Notizia a portare il tema alla ribalta nazionale. Dal punto di vista dei pazienti, quanto è grave che non sia rispettato l’obbligo dell’aggiornamento professionale?
«La risposta è composita. Naturalmente il mancato aggiornamento significa che abbiamo medici impreparati considerando anche la potente evoluzione della medicina, con le innovazioni che ci sono di anno in anno. Quindi diventa importante che il medico sia aggiornato rispetto alle novità e alle controindicazioni di sistemi in corso. Dall’altro va detto che però il sistema di aggiornamento previsto è un sistema farraginoso, spesso inutile, molto burocratico. Si dovrebbero superare entrambi i problemi. Da una parte va ribadito per tutte le attività professionali l’obbligo di aggiornamento, siamo in una società che corre, c’è la rete, dall’altra bisogna, appunto in funzione di questa velocità, che l’apparato burocratico che supporta questi corsi di aggiornamento, lo stimolo alla formazione, sia assolutamente più efficiente. Anche per quanto riguarda le tematiche che debbono essere affrontate e una certa libertà di scelta: per esempio gli enti formatori possono proporre tematiche nuove e non rimanere nella rigidità che il ministero e i vari ordini professionali indicano per i temi di aggiornamento».
Uno dei problemi dei pazienti-consumatori è che non possono sapere se il medico ha adempiuto all’obbligo dell’aggiornamento o no. Ritiene che un meccanismo da questo punto di vista può essere positivo…
«Noi in generale chiediamo ormai da tempo che ogni medico, soprattutto quelli che svolgono attività in forma privata, quindi non soltanto in sede ospedaliera, presentino al proprio assistito una sorta di curriculum dove raccontano non soltanto i titoli, i corsi che hanno fatto ma per esempio i tipi di trattamento e quanti interventi ha fatto. Poi chiaramente in questa sorta di curriculum, dovrebbe indicare anche quali sono gli aggiornamenti che sono stati eseguiti, in modo che il paziente abbia consapevolezza della professionalità e delle competenze del medico che ha di fronte, poiché siamo ormai in un regime di libera scelta molto di mercato è bene che appunto il consumatore venga messo nelle condizioni di conoscere chi è il professionista e le competenze che ha acquisito su quel caso specifico caso o su una determinata patologia».
Un altro aspetto del mancato aggiornamento è il risvolto legale. Il paziente potrebbe rivalersi più facilmente su un medico non formato…
«La nuova disciplina sulla responsabilità professionale prevede che ci sia un canone rigido di riferimento che riguarda i protocolli o le linee guida adottate. Per cui è evidente che un medico non aggiornato si presuppone che non sia aggiornato non tanto sulle novità scientifiche ma sulle procedure da seguire in determinati casi clinici. Questo naturalmente comporta l’insorgere di una responsabilità per esecuzioni che magari a rigore non sono sbagliate ma determinano un danno al paziente: magari prevedono un intervento chirurgico, delle lesioni permanenti quando ci sono tecniche ormai collaudate che possono evitare determinati interventi. Per esempio sul ginocchio si può operare in laparoscopia e non effettuare l’intervento chirurgico col taglio totale. Per cui nel primo caso del taglio del ginocchio non è che ci sia un errore nell’esecuzione ma è evidente che il mancato aggiornamento e la mancata applicazione di tecniche innovative determinano un danno. Immaginate una donna che ha una cicatrice sulla gamba, ha un danno anche estetico importante e questo è sicuramente fonte di responsabilità».
Lei ha richiamato la necessità di una sanità più trasparente. Si va in questa direzione o no?
«Si va nella direzione opposta. È sempre più opaco il rapporto, da questa vicenda del mancato aggiornamento traggo prima di tutto un aggiornamento: cioè che il sistema dei controlli non funziona. Non soltanto in questo ambito ma non funziona anche, per esempio, sulla rete di controllo ospedaliero, sulla opportunità delle prestazioni. Noi abbiamo un grande problema qui nel nostro Paese: l’opportunità delle prestazioni che vengono chieste. Ci si nasconde spesso dietro il concetto di medicina difensiva, ma è soltanto una banale scusa perché noi dobbiamo essere in grado sul caso concreto di capire se quel tipo di trattamento se quel tipo di esame che viene indicato siano opportune alla singola patologia che si sta ricercando».
Allora il paziente come si può difendere?
«Questo è un problema sempre più serio. Si deve formare. Viene spesso demonizzato internet. Ma la rete è un oceano di cose buone e di cose cattive. Tutte le cose vanno prese con le molle. Ma in maniera molto seria può accedere a informazioni qualificate, quindi privilegiando il Ministero della Salute, l’Istituto Superiore di Sanità, enti scientifici accreditati e si informa in modo che può fare delle domande al professionista che ha di fronte, chiedere delle specifiche, perché il primo medico di un malato è sè stesso. È lui che sente i dolori, che sente le difficoltà per cui può esprimersi in maniera più consapevole e il professionista è nelle condizioni di dare una diagnosi più azzeccata al caso concreto».