Salute 17 Gennaio 2022 09:29

Generazione Covid, l’impatto della pandemia sui “figli del lockdown”

Mele (SIMPE): «I bisogni del singolo si trasformano in bisogni della collettività, rimodulare l’assistenza pediatrica»

Generazione Covid, l’impatto della pandemia sui “figli del lockdown”

Ritardo nello sviluppo, difficoltà emotive e di comunicazione, bassi punteggi nei test per la motricità fine. Secondo uno studio condotto dai ricercatori del Morgan Stanley Children’s Hospital di New York i neonati “figli della pandemia” presenterebbero una maggior incidenza di queste problematiche rispetto ai bambini nati in epoche precedenti, indipendentemente dalla loro positività o meno al Covid e da quella materna.

Tra le motivazioni, gli studiosi hanno identificato lo “stress pandemico” sofferto dalle madri durante la gestazione in associazione a una interazione diversa tra genitori e bambini dovuta sempre a una condizione di paura e stress, fattori che avrebbero influenzato negativamente lo sviluppo cerebrale del feto prima e del bambino poi, così come l’isolamento, la mancanza di relazioni sociali e di occasioni di gioco. Quanto è effettivamente marcato questo fenomeno? E quali saranno, eventualmente, i margini di recupero? Che ruolo avrà la pediatria nell’ambito dei diversi e accresciuti bisogni dei pazienti e delle loro famiglie, dovendo giocoforza tenere il passo del cambiamento in atto? Ne abbiamo parlato con Giuseppe Mele, presidente SIMPE (Società Italiana Medici Pediatri).

Il ruolo dell’alimentazione e dei controlli periodici

«Lo stress emotivo ha sicuramente un impatto negativo sullo sviluppo psichico del bambino. Tuttavia – spiega Mele – per quanto riguarda l’elemento della motricità fine di cui si parla nello studio, un fattore di primo piano nello sviluppo di questa skill, che avviene tra i 6 e gli 8 mesi, è dato dall’alimentazione del bambino, che deve essere corretta e integrata soprattutto a livello di acidi grassi, cui è strettamente collegato lo sviluppo cerebrale. Ed è innegabile che una corretta alimentazione per il bambino viene sorretta da una costante comunicazione tra genitori e pediatra, con interazioni frequenti e nel rispetto dei bilanci di salute periodici. Una interazione – osserva Mele – che nella pandemia, soprattutto nelle prime fasi, è stata messa a dura prova, fagocitata dalle preoccupazioni relative al Covid. E ovviamente oltre all’alimentazione, tanti altri parametri sono sfuggiti al controllo costante delle griglie che predisponiamo relativamente all’atteso per ogni fascia di età, e tanti disturbi non sono stati intercettati precocemente acuendosi».

Bambini che “non conoscono altro” che la pandemia vs bambini con vissuto pre-pandemico

«Sicuramente i bambini che hanno imparato a conoscere il volto umano mediato da una mascherina potrebbero avere ripercussioni sullo sviluppo emotivo – sostiene Mele – a causa di un minore stimolo verso le aree limbiche coinvolte. Fortunatamente il cervello è materia plastica, e plasticamente si adatta ai cambiamenti, sviluppando in questo caso maggiormente altre aree, in una sorta di compensazione. L’impatto di questi cambiamenti nella vita quotidiana è diverso in base alle fasce d’età, ma dobbiamo considerare che questa storia va avanti da due anni e a breve entreremo nel terzo anno. È chiaro quindi – aggiunge – che anche per i bimbi un po’ più grandi questo stravolgimento nelle relazioni umane pesa e peserà, laddove il contatto e confronto con coetanei e figure di riferimento svolge un ruolo essenziale nello sviluppo della personalità. E sono bambini che stanno sperimentando paure (in alcuni casi terrori) inedite, insonnia e disturbi del ritmo sonno-veglia, ansia generalizzata».

L’esigenza di rimodulare la presa in carico pediatrica alla luce dei nuovi bisogni

«Se finora c’è stato un rapporto one to one tra bambino/famiglia e pediatra – spiega Mele – oggi dobbiamo prendere atto che questo rapporto si sta riducendo perché non dobbiamo più intercettare il bisogno del singolo, ma il bisogno di una collettività all’interno della quale stanno cambiando dei processi. Perché se un insieme di bambini presenta un disturbo della sfera emotiva e relazionale o disturbi neuropsichiatrici è evidente che il problema è collettivo. Il pediatra di oggi e del futuro – prosegue – dovrà saper uscire fuori da schemi consolidati che pure hanno prodotto salute, per incardinare il rapporto fuori dal proprio ambulatorio e nell’ambito di luoghi collettivi, a cominciare dalla medicina scolastica – conclude il presidente SIMPE – per intercettare specifici bisogni di salute che prima non esistevano».

 

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