«Il 40-50% dei tumori dipende da cattiva alimentazione» sottolinea Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto Mario Negri, che ha dato vita al nuovo istituto. «Vogliamo sapere se un determinato alimento aumenta l’espressione dei geni che ci proteggono dai tumori o diminuisce l’espressione dei geni che li inducono»
«Come ricercatori vogliamo fare in modo che l’Italia diventi un laboratorio per insegnare la scienza che sta sotto alla buona alimentazione». Con queste parole Giuseppe Remuzzi, Direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano, ha spiegato a Sanità Informazione la filosofia che c’è dietro al neonato Italian Institute of Planetary Health nato da una collaborazione tra il Mario Negri e l’Università Cattolica del Sacro Cuore.
La sfida è ambiziosa: se le proprietà degli alimenti sono note ancora non è nota l’interazione delle proprietà di questi con il nostro DNA. «Tutti sappiamo cosa si deve fare per alimentarsi bene – sottolinea Remuzzi – ma molto pochi sanno se un determinato alimento aumenta l’espressione dei geni che ci proteggono dai tumori o diminuisce l’espressione dei geni che inducono i tumori, quanto ne dobbiamo assumere di quell’alimento per avere quel vantaggio ed eventualmente come e con che cosa, tenendo conto del gusto e delle abitudini».
Il nuovo istituto, che sarà presieduto da Carlo Salvatori, Presidente di Lazard Italia e Aviva Italia, con vice presidenti lo stesso Giuseppe Remuzzi, e Walter Ricciardi, ordinario di Igiene generale e applicata all’Università Cattolica, ha già avviato i primi progetti che vedono i ricercatori impegnati nello studio dei fattori che incidono sull’invecchiamento in salute della popolazione partendo dalla mappatura dell’Italia. Le analisi si focalizzeranno sulle differenze dei determinanti dal punto di vista genetico, biologico, molecolare, epidemiologico e ambientale. Nella rosa dei progetti anche la ricerca di modelli alimentari, anche personalizzati, con l’impiego delle migliori tecnologie a disposizione (genomica, big data, intelligenza artificiale) con l’obiettivo di stabilire il rapporto tra diversi componenti alimentari nell’influenzare la salute dell’uomo; lo sviluppo di modelli di predizione e valutazione dell’impatto di sistemi alimentari sostenibili sul cambiamento climatico, sulla preservazione dell’ambiente e sulla biodiversità in attività di ricerca sulle tradizioni e abitudini alimentari su scala globale.
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«L’idea nasce dalla considerazione che ci si ammala di più di cattiva alimentazione che non di droga, tabacco, alcol e cattive abitudini sessuali messe insieme. Il 40-50% di tutti i tumori dipendono da una cattiva alimentazione» continua Remuzzi che sottolinea: «Noi adesso stiamo diventando un punto di riferimento per queste cose. C’è un centralino a Milano al Mario Negri dove ci sono delle persone che rispondono a quesiti su questi temi».
L’istituto rappresenta una grande novità nel panorama europeo tanto da attirare l’attenzione anche del Lancet, la celebre rivista scientifica inglese. Intanto tutti sono al lavoro per un grande evento che si svolgerà a Milano per il 22 aprile. Tra i compiti che si prefigge l’istituto, anche quello di provare a mettere una parola di verità sulle proprietà degli alimenti, dato che spesso le ricerche hanno dato risultati contrastanti in questo campo.
«Faccio un esempio – continua Remuzzi -: il cavolo ha delle proprietà che sono così importanti da essere paragonate a certi farmaci che inibiscono l’angiogenesi, cioè la formazione dei vasi dei tumori. Ma io quanti cavoli devo prendere per avere questi effetti? Stiamo lavorando su tutto questo andando anche a prendere le abitudini alimentari di popoli ancestrali. Vogliamo fare quello che abbiamo fatto sui farmaci, per esempio nel campo dei tumori o in quello cardiovascolare, sugli alimenti. Contengono sostanze chimiche come i farmaci e noi li studiamo allo stesso modo, dal punto di vista dei collegamenti che ci sono tra i vari geni».
Una chiave di lettura importante è quella genetica, dato che ormai sembra acclarato che gli alimenti non fanno su tutti lo stesso effetto proprio a causa di differenze genetiche: «Io ho studiato il mio DNA – continua Remuzzi -. Non ho un gene che mi consente di prendere vantaggio dagli effetti cardioprotettivi del vino rosso. Se io prendo il vino rosso perché mi piace va bene ma non perché protegge il cuore perché a me manca il gene che serve per fare quella cosa lì. È molto complicato, lo stiamo studiando per tutti. Ci sono degli studi secondo cui la dieta mediterranea, interpretata rigorosamente, riduce la possibilità di avere deterioramento della funzione renale dopo il trapianto e prolunga la sopravvivenza libera da farmaci durante il trapianto. È incredibile quello che si può fare».
Remuzzi poi, sottolinea come nella ricerca sia fondamentale l’utilizzo degli animali: «In questo momento siamo tutti spaventati dal coronavirus, abbiamo bisogno di far capire alla gente che non abbiamo bisogno di no vax, abbiamo però bisogno di animali perché senza animali non troveremo mai il farmaco che riesce in realtà a risolvere questo problema. Siamo molto preoccupati, perchè in generale non c’è ricerca e non c’è medicina senza possibilità di fare sperimentazione sugli animali. Noi in Italia siamo penalizzati. Adesso c’è un decreto con questa moratoria, questo utilizzo degli animali per due indicazioni, ma è una moratoria di un anno solo, non ce ne facciamo niente di un anno. Dobbiamo allinearci con l’Europa sennò siamo tagliati fuori. Abbiamo meno ricercatori, meno fondi, siamo pagati meno di tutti, abbiamo una burocrazia spaventosa. Bisogna agire».
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