Mentre l’Italia ha deciso di immunizzare prima di tutto il personale sanitario, la Germania ha optato per la priorità alle Rsa salvando la vita a circa 30mila persone
I vaccini anti-Covid disponibili sono molto limitati, Pfizer ha ulteriormente ridotto le dosi destinate all’Italia. La stima dell’ISPI (Istituto di Analisi Geopolitiche), elaborata da Matteo Villa del Centro per la governance europea e globale, è che con oltre 1 milione di vaccinazioni attuali abbiamo salvato circa 10mila vite (proiezione statistica su dati Ministero Salute rispetto alla percentuale di decessi attesi su popolazione).
Nelle Rsa in Italia sono state vaccinate circa 105mila persone. Mentre la Germania, seppure abbia vaccinato meno persone totali, ne ha immunizzate molte di più nelle Rsa: circa 350mila vaccinati, circa 30mila persone “salvate”. Certo, sono proiezioni comparate su strategie vaccinali molto diverse. Silvio Garattini, presidente dell’Istituto Farmacologico “Mario Negri”, ci tiene a precisare che «la priorità per gli operatori sanitari dipende dal fatto che, se si ammalano, non solo hanno più possibilità di contagiare gli altri, ma non possono curare gli ammalati».
La strategia quindi è molto diversa secondo Garattini, perché in Italia si è scelto di preservare la continuità delle prestazioni sanitarie. Di questa avviso anche Carlo Perno, direttore Microbiologia clinica dell’ospedale Bambino Gesù di Roma. «Quanti servizi e reparti avremmo dovuto chiudere senza vaccinare gli operatori sanitari, con conseguente riduzione dei servizi sanitari essenziali?».
Va sottolineato che lo squilibrio nelle classi d’età vaccinate è un problema. Finché non vaccineremo “tanto” e “soprattutto” chi rischia di più, il vaccino avrà un’utilità limitata. Statisticamente l’evoluzione della malattia è limitato nelle fasce d’eta più giovani (sanitari o meno), e i presidi Dpi utilizzati nelle strutture sanitarie dovrebbero contenere eventuali focolai. Ma, tra i 30 e 39 anno sono stati vaccinati il 2,2% della popolazione, mentre dagli 80 agli 89 anni solo l’1% a fronte di una letalità Covid del 7,3% in questa fascia d’età, contro lo 0,05% per i 30-39enni.
Resta il fatto che in Italia circa il 10% del totale dei vaccinati è nelle Rsa, ma soprattutto meno di un terzo degli ospiti. «La Germania sul breve termine può contare su molte più dosi per un accordo effettuato prima dell’Ue e per una nuova sede di produzione del vaccino a Marburgo», ci ricorda Garattini. Questo potrebbe aumentare ancora di più la differenza con il nostro paese. Certo è che a prescindere dalla disponibilità effettiva le priorità sono importanti. Al 18 gennaio, il Molise aveva vaccinato il 100% degli ospiti delle Rsa, mentre la Lombardia era ancora al 21%, la logistica è uguale per entrambe le regioni, le scelte sono diverse.
Con il nuovo taglio di dosi Pfizer per l’Italia, si deve valutare con rigore chi vaccinare prima e chi dopo. In Italia ci sono circa 2 milioni di guariti Covid (Bollettino Ministero Salute). Secondo molti specialisti e immunologi, come Alberto Mantovani: «Chi è guarito deve dare priorità ad altri». Dello stesso parere anche Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dello Spallanzani: «Chi ha avuto Covid non deve vaccinarsi in questa fase». Anche Massimo Galli, direttore Infettivologia del Sacco, è dello stesso avviso. La comunità scientifica però è spaccata. Garattini ad esempio ha sottolineato a SanitàInformazione, come questa sia «una possibile opzione, ma non sappiamo quanti guariti hanno sviluppato adeguate risposte immunitarie».
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