Salute 14 Settembre 2021 16:09

Giada, donatrice di latte umano: «Contribuire al benessere dei neonati più fragili lenisce anche le proprie sofferenze»

Salvatori (neonatologo): «Al Bambino Gesù la Banca del latte umano donato (Blud), una delle 39 presenti in Italia. La struttura seleziona, raccoglie, conserva e distribuisce il latte materno, donato da mamme volontarie in maniera totalmente gratuita»

di Isabella Faggiano
Giada, donatrice di latte umano: «Contribuire al benessere dei neonati più fragili lenisce anche le proprie sofferenze»

“Ho visto persone a pezzi aiutare chi aveva solo una crepa”. È molto probabile che se Charles Bukowski avesse conosciuto Giada prima di scrivere questa celebre frase, avrebbe tratto ispirazione anche dalla sua storia.
Giada è la mamma di Natan, nato due mesi fa. Il suo piccolo, ricoverato nel reparto di Terapia Intensiva dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, non può nutrirsi con il latte materno, ma solo per via parenterale. Così, la sua mamma ha deciso di donare il suo latte.

Donazione del latte umano, un gesto che viene dal cuore

La mamma di Natan compie un vero e proprio atto di amore, considerando che donare il latte richiede la stessa dedizione e fatica dell’allattamento al seno. Anzi, di più. Ci sono due enormi differenze non del tutto trascurabili. Innanzitutto, non è un dolce e tenero neonato a ciucciare il latte, ma una tettarella collegata ad un tiralatte, attraverso un gesto meccanico e ripetitivo. Due, quel latte non contribuirà a rafforzare il sistema immunitario del proprio bambino, ma concorrerà alla crescita di qualcun altro. Per non parlare del tempo necessario: proprio come se si trattasse di un allattamento al seno, per mantenere la produzione del latte, sarà necessario dedicarcisi almeno mezz’ora ogni tre ore, sia di giorno che di notte.

La storia di Giada

Insomma, un sacrificio nel sacrificio per una mamma come Giada già fortemente provata psicologicamente e fisicamente dal ricovero del suo bambino. Eppure, Giada non molla: è donatrice convinta. «Perché – assicura – poter contribuire al benessere di uno o più bambini, già sofferenti per altre problematiche, è una preziosa ricompensa. Donare il latte mi fa stare bene con il corpo e con la mente, tanto che riesco ad affrontare con estrema serenità anche la difficile gestione del tempo».

La Banca del latte umano donato

Giada dona il suo latte alla Banca del latte umano donato (Blud) dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù, una delle 39 presenti in Italia, unica del Lazio. «La struttura seleziona, raccoglie, conserva e distribuisce il latte materno, donato da mamme volontarie in maniera totalmente gratuita – spiega Guglielmo Salvatori, responsabile dell’UO Educazione nutrizionale neonatale e Banca del Latte Umano Donato (Blud) dell’ospedale pediatrico della Santa Sede -. Il latte materno è particolarmente indicato per l’alimentazione dei neonati pretermine, soprattutto per quelli di peso molto basso alla nascita (inferiore ai 1500 g). Per tali neonati, nei casi in cui non fosse possibile offrire il latte della propria madre, la prima alternativa, come raccomandato dall’Accademia Americana di Pediatria, è rappresentata proprio dal latte proveniente dalla Blud».

Chi può donare

Le madri donatrici devono essere in buona salute, seguire un corretto stile di vita e produrre un quantitativo di latte superiore al bisogno del proprio bambino. «Le aspiranti donatrici devono prima compilare un questionario e poi sottoporsi ad alcuni esami di laboratorio su sangue e latte materno. Chi risulterà idonea potrà donare il suo latte dalle prime settimane di vita, fino all’anno di età del bambino».

E dodici mesi di raccolta e donazione del proprio latte non è un tempo affatto breve. La stessa Giada non nega che già dopo il primo mese aveva sentito di trovarsi di fronte ad un bivio: continuare o interrompere la donazione. «Ma il dubbio è durato davvero poco – assicura -. Donando il mio latte ho la sensazione di “restituire” l’immenso bene che il mio bimbo sta ricevendo, cure eccezionali senza le quali – conclude – avrebbe potuto anche non sopravvivere».

 

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