In relazione ai nuovi vaccinati, ulteriore crollo nella fascia 5-11 (-35,2%) e negli over 50 (-41,6%). Cartabellotta: «I dati legittimano un cauto ottimismo, non mosse azzardate»
Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE rileva nella settimana 2-8 febbraio 2022 una riduzione di nuovi casi (649.345 vs 900.027) a fronte di un numero di decessi che non accenna a diminuire (2.587 vs 2.581). In calo anche i casi attualmente positivi le persone in isolamento domiciliare, i ricoveri con sintomi e le terapie intensive. Nel dettaglio:
«I nuovi casi settimanali – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – registrano per la seconda settimana consecutiva una netta flessione: circa 650 mila con una riduzione del 27,9% rispetto alla settimana precedente e una media mobile a 7 giorni che scende da 121.741 casi del 2 febbraio a 92.764 l’8 febbraio (-23,8%). Un dato in parte conseguente alla minore circolazione del virus, documentata dalla riduzione del tasso di positività dei tamponi, in parte al calo dei tamponi».
«Si riduce anche la pressione sugli ospedali – afferma Renata Gili, responsabile Ricerca sui Servizi Sanitari della Fondazione GIMBE – anche se più lentamente dei nuovi casi: rispetto alla scorsa settimana, i posti letto occupati da pazienti COVID diminuiscono sia in area medica (-7,7%) che in terapia intensiva (-11,2%)». Per le terapie intensive prosegue la discesa iniziata già a metà gennaio (da 1.717 del 17 gennaio a 1.376 dell’8 febbraio). Inizia finalmente a calare anche il numero di posti letto occupati in area medica (da 19.913 del 31 gennaio a 18.337 dell’8 febbraio).
Restano sostanzialmente stabili i decessi: 2.587 negli ultimi 7 giorni (di cui 251 riferiti a periodi precedenti), con una media di 370 al giorno rispetto ai 369 della settimana precedente. Questi numeri, purtroppo ancora molto elevati, nelle ultime settimane hanno alimentato distorte teorie secondo le quali molti decessi di persone positive al SARS-CoV-2 sarebbero occorsi ugualmente, indipendentemente dall’infezione: teorie smentite dai dati sull’eccesso di mortalità del Sistema di sorveglianza della mortalità giornaliera del Ministero della Salute, che risultano del tutto coerenti con i numeri ufficiali dei decessi. «La distinzione fra morti “per” e morti “con” COVID-19 – chiosa Cartabellotta – rappresenta un’inutile strumentalizzazione dei dati, perché la vera domanda da porsi è: le persone affette da altre patologie sarebbero ancora vive se non fossero state infettate dal SARS-CoV-2? I dati confermano che per la maggior parte di loro la risposta è affermativa».
Al 9 febbraio l’85,4% della popolazione (n. 50.578.779) ha ricevuto almeno una dose di vaccino (+338.507 rispetto alla settimana precedente) e l’82% (n. 48.578.825) ha completato il ciclo vaccinale (+630.245 rispetto alla settimana precedente). Nella settimana 2-8 febbraio si registra un ulteriore calo dei nuovi vaccinati: 186.744 rispetto ai 278.940 della settimana precedente (-33,1%). Di questi il 41,8% è rappresentato dalla fascia 5-11: 77.985, in netta flessione rispetto alla settimana precedente (-35,2%). Nonostante l’entrata in vigore dell’obbligo vaccinale e l’imminente introduzione dell’obbligo di Green pass rafforzato sui luoghi di lavoro, tra gli over 50 il numero di nuovi vaccinati scende ulteriormente. Si attesta a quota 47.951 (-41,6% rispetto alla settimana precedente). In continuo calo anche le fasce 12-19 e 20-49.
All’8 febbraio sono ancora 7,1 milioni le persone senza nemmeno una dose di vaccino, di cui 1,8 milioni guarite da meno di 180 giorni e 5,3 milioni vaccinabili. Questi dati portano a due considerazioni: se da un lato il fatto che oltre 1,7 milioni di persone siano entrate in contatto con il virus alza il livello di immunità della popolazione, dall’altro il numero di persone non protette da COVID-19 è ancora molto elevato e, soprattutto, l’immunità derivante dall’infezione cala progressivamente nel tempo, confermando la necessità di vaccinarsi entro 6 mesi dall’avvenuto contagio.
La European Medicines Agency (EMA) ha suggerito di prenderla in considerazione solo per gli immunocompromessi. «Considerato che molti soggetti appartenenti a questa categoria – sottolinea Cartabellotta – hanno ricevuto la terza dose oltre 4 mesi fa, si auspica una decisione tempestiva in merito da parte dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) e del Ministero della Salute».
I dati dell’Istituto Superiore di Sanità dimostrano la riduzione dell’efficacia vaccinale a partire da 3 mesi dal completamento del ciclo primario e la sua risalita dopo la somministrazione del richiamo. In particolare:
«Siamo nella fase discendente della quarta ondata – conclude Cartabellotta – ma la riduzione della circolazione del virus è sovrastimata da una minore attività di testing, il calo della pressione sugli ospedali è lento e spesso irregolare e la curva dei decessi ancora non accenna a scendere. A fronte, però, di elevate coperture vaccinali, booster incluso, e dell’arrivo della primavera, i dati legittimano un cauto ottimismo finalizzato al graduale allentamento delle misure. Tuttavia, con l’avvicinarsi della scadenza dello stato di emergenza – la cui estensione non è più giustificabile in Parlamento – si stanno insinuando nel dibattito scientifico e politico termini che nulla hanno a che vedere con la situazione attuale: dalla circolazione endemica del virus addirittura all’imminente fine della pandemia. Distorsioni della realtà molto pericolose perché eccesso di ottimismo e disinformazione se da un lato non aiutano a contrastare l’esitazione vaccinale, dall’altro rischiano di legittimare decisioni azzardate e rischiose, come la decadenza dell’obbligo di mascherina negli ambienti chiusi».
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