Il presidente Cartabellotta: «I fondi del Recovery non vengano usati per costosi lifting del sistema ma per riforme coraggiose che promuovano l’uguaglianza nell’assistenza»
L’esperienza pandemica come un’imperdibile occasione per riformare il nostro sistema sanitario: il punto di partenza per riforme coraggiose quanto necessarie, facendo tesoro di tutto ciò che l’emergenza ha portato alla luce, sebbene in un modo che non ci saremmo mai aspettati né augurati. Non si tratta solo di salvare il salvabile, ma di ripensare completamente criteri e applicazioni dell’assistenza sanitaria nel nostro Paese, sfruttando nel migliore dei modi anche i fondi del Recovery. È questo il fondamentale messaggio emerso dal confronto tra il presidente di Gimbe Nino Cartabellotta e il giornalista Riccardo Iacona, in occasione della giornata dedicata al 25imo compleanno della Fondazione, di cui Sanità Informazione è stata media partner.
Inquadrando il contesto attuale «oggi in Italia la situazione è ancora critica – esordisce Cartabellotta – e seppur con nette differenze tra Regioni il coronavirus circola in modo ancora molto sostenuto. Contemporaneamente, la campagna vaccinale procede a macchia di leopardo tra una Regione e l’altra, soprattutto nei confronti della fascia degli ultraottantenni che fino ad oggi hanno pagato il prezzo più alto in termini di vite».
E proprio a proposito della campagna vaccinale, sul cambio di passo necessario in futuro per garantirci una autosufficienza dal punto di vista produttivo, visto che l’esigenza di vaccini anti-Covid potrebbe essere a tempo indeterminato, il presidente Gimbe non ha dubbi: «La liberalizzazione dei brevetti è inutile senza cessione del know how e la produzione delle apparecchiature. Moderna il suo l’ha liberalizzato, ma nessuno lo produce perché manca il know how. La riconversione degli impianti per implementare le nostre capacità produttive è impensabile dall’oggi al domani, ma nel nostro futuro sarà essenziale. Semplicemente, avremmo dovuto pensarci molto prima».
Alla domanda del giornalista sul perché il nostro Ssn abbia annaspato di fronte a una domanda così improvvisa, Cartabellotta ricorda di come, nel report di giugno 2019, Gimbe definì il nostro Snn come «un paziente pluripatologico, con due mali “principali”: il definanziamento e i tagli in primis, con 37 miliardi persi negli ultimi 10 anni soprattutto in capitale umano, posti letto e innovazione tecnologica. In secundis, l’iniquità e le disuguaglianze causate dal fatto che la sanità è materia concorrente tra Stato e Regioni, con le Regioni a cui spetta la parte organizzativa. E questo assetto in pandemia – continua Cartabellotta – ha evidenziato quell’area grigia di assunzione di responsabilità, in molte occasioni finita con uno scaricabarile reciproco tra Stato e Regioni, di cui a farne le spese sono stati i cittadini».
Tornare quindi a una sanità centralizzata? «È impossibile, anche da un punto di vista costituzionale – osserva il presidente Gimbe – ma è possibile (e auspicabile) aumentare i poteri di verifica dello Stato sulle Regioni: prevenire quindi i piani di rientro, un espediente adottato quando ormai il danno è fatto; uscire dall’ottica delle” eccellenze”, non è questo il parametro per misurare l’efficacia della sanità, ma l’accessibilità concreta all’assistenza territoriale, lavorando non più solo sulle disparità tra le varie Regioni, ma anche tra i piccoli centri e le aree metropolitane; investire in servizi efficaci di prevenzione, come gli screening oncologici e le campagne per la modifica del proprio stile di vita, invece che sprecare 10 miliardi all’anno in prescrizioni inappropriate, interventi chirurgici a scopo preventivo, ricoveri e farmaci inutili».
Tornando alla situazione attuale, il confronto si sposta su cosa stiamo continuando a sbagliare a ogni ondata. «Abbiamo un sistema territoriale frammentato in condizioni ordinarie, figuriamoci straordinarie. La prima ondata – osserva Cartabellotta – l’abbiamo gestita quasi esclusivamente con lockdown e ospedali; il problema è arrivato a settembre, quando montava già la seconda ondata e il tracciamento è stato abbandonato dai dipartimenti di prevenzione quasi subito, a 8mila casi al giorno. L’attuale sistema a colori permette di rimanere con gli ospedali sotto controllo, ma non di riprendere in mano il tracciamento, obiettivo cui stanno tendendo molti altri Paesi».
E poi un giorno, presto o tardi, ci sarà il post-Covid da gestire: liste d’attesa chilometriche e tutto il resto dell’assistenza negata. «Senza contare – afferma Cartabellotta – i nuovi bisogni di salute generati proprio dalla pandemia: pensiamo a tutto il disagio psicologico dei giovani, ma anche i fenomeni del long Covid e la relativa riabilitazione. Un errore macroscopico sarebbe investire in tecnologie e non in personale: l’età media aumenta sempre di più, e ci sarà sempre più bisogno di infermieri che non di medici, eppure continuiamo ad avere il rapporto più basso tra medici e infermieri secondo l’OCSE. E teniamo presente che il capitale umano non si crea velocemente come le tecnologie e le attrezzature».
L’arrivo dei 20 miliardi del Recovery Plan è infine un’occasione unica da non sprecare. «Dobbiamo farci una domanda – afferma Cartabellotta – e cioè: questi soldi li useremo per mettere una pezza al nostro Ssn o per rilanciarlo? Per mettere in piedi servizi di assistenza che rispondano alle esigenze reali della popolazione, o solo un costoso lifting a un sistema che fa acqua da tutte le parti? Abbiamo avuto in meno di un anno finanziamenti che non siamo riusciti ad ottenere in un decennio – conclude il presidente Gimbe – ma senza organizzazione e una buona dose di coraggio difficilmente riusciremo a raggiungere il nostro obiettivo: un’assistenza sanitaria senza disuguaglianze».
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