Il videogioco è stato ideato dalla Fondazione Maruzza per sensibilizzare i giovani sulle cure palliative pediatriche ed educarli all’inclusione. La segretaria generale della Fondazione Castelli: «Studi scientifici dimostrano che il sentirsi accettati migliora l’esito dei trattamenti»
Lui è Zeno, lei Violetta. Sono due adolescenti che si confrontano con i pregiudizi legati alla disabilità e alla malattia e lo fanno giocando. Zeno e Violetta, infatti, sono i protagonisti di “Dare” un videogame per ragazzi ideato dalla Fondazione Maruzza, con il supporto di WISDOM Studio, per sensibilizzare i più giovani sulle patologie inguaribili e sulle cure palliative pediatriche. (Il videogioco è disponibile gratuitamente per Android su Google Play: https://dare.fondazionemaruzza.org/).
«Disorientamento, imbarazzo, paura, curiosità sono solo alcune delle emozioni che un giovane può provare incontrando una persona malata. Soprattutto se si tratta di un suo coetaneo, di un ragazzo o una ragazza che “abita” il suo stesso mondo – spiega Elena Castelli, Segretaria Generale della Fondazione Maruzza -. Questo videogame offre l’opportunità a chiunque lo voglia – è consigliato dai 14 ai 100 anni – di entrare in contatto con gli stati d’animo provati da un malato incurabile, sperimentandoli sulla propria pelle».
Dare è stato studiato nei minimi dettagli: ogni colore, suono o immagine è in grado di richiamare una precisa emozione. Anche i nomi dei protagonisti non sono stai scelti a caso: «Violetta ci riporta alla giovane cortigiana parigina malata di tisi de “La traviata”, Zeno a quel un maturo e ricco commerciante di Trieste, quasi intossicato dal fumo, protagonista de “La coscienza di Zeno”», aggiunge Castelli.
Il giocatore vestirà i panni di un adolescente che si trova in ospedale a causa di un incidente: l’evento traumatico ha ridotto la sua vita in frantumi. Durante la notte una ragazza del reparto di neurologia pediatrica si rifugia nella sua camera. Insieme avranno la “missione” di raggiungere il distributore automatico al piano terra per prendere dei dolci. «Il videogame prevede cinque livelli di difficoltà. Il giocatore dovrà combattere contro un nemico: l’avatar del pregiudizio – spiega il Segretario Generale della Fondazione Maruzza -. Al termine di ogni livello, il giocatore riceverà un premio, utile anche per affrontare gli ostacoli successivi. Questi ostacoli, pur essendo rappresentati da personaggi puramente fantastici, come i mostri, sono in grado di suscitare emozioni analoghe a quelle provate quotidianamente da chi soffre di una patologia incurabile. Il gioco si concluderà con la sconfitta dell’avatar e la vittoria rappresenterà il superamento del pregiudizio».
Dare è uno strumento che parla il linguaggio dei ragazzi e li incoraggia ad essere aperti allo scambio e a non farsi spaventare dalle emozioni, anche negative, che possono emergere nell’incontro con un coetaneo ammalato. In Italia sono 30mila i minori affetti da una patologia inguaribile. «La loro vita è un’alternanza di terapie, assenze da scuola, necessità di ricoveri, assistenza domiciliare. Tutte limitazioni che gli impediscono di sviluppare a pieno socialità e relazioni. Eppure questi giovani, come tutti gli altri, hanno bisogno di normalità. Numerosi studi hanno dimostrato come il sentirsi inclusi e accettati migliori anche l’esito dei trattamenti», assicura Castelli.
Dare fa parte del progetto più ampio destinato alle scuole secondarie di secondo grado, “CPP – Come Partire Pari”. «Si tratta di un programma educativo in grado di fornire agli studenti strumenti cognitivi e relazionali che gli permettano di parlare serenamente della malattia – dice Castelli -. Il progetto prevede la formazione di un gruppo di ragazzi per ogni istituto scolastico aderente. Saranno, poi, questi stessi giovani formati, anche grazie all’utilizzo di un manuale interattivo creato ad hoc, a parlare agli altri studenti. Creare uno scambio fra pari, senza l’interazione di un adulto facilita il dialogo e lo scambio di emozioni. I ragazzi appaiono sempre molto disponibili ad affrontare temi così delicati. Spesso è il confronto con una realtà sconosciuta a suscitare in loro paura. Un timore che siamo conviti – conclude – possa essere più facilmente superato attraverso azioni “nomali”, come il gioco e il dialogo».
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