Il direttore scientifico della Simit: «La maggior parte dei soggetti con HIV in cura è over 60: l’età che avanza è la dimostrazione che le terapie funzionano. Necessario incrementare gli screening: con test eseguiti solo alla comparsa dei sintomi le diagnosi sono tardive»
Era il 1987 quando veniva approvato il primo farmaco antiretrovirale per il trattamento dell’HIV, l’azidotimidina (un inibitore della trascrittasi inversa, RTI). Da quel momento si sono succedute tre generazioni di medici che hanno dovuto mettersi costantemente alla prova, confrontandosi con terapie innovative, continuando a far emergere i pazienti sommersi e lottando contro lo stigma che da sempre accompagna questo virus.
Massimo Andreoni, direttore scientifico della Simit, la Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali, e professore ordinario di Malattie Infettive alla facoltà di Medicina e Chirurgia dell’università di Roma Tor Vergata, queste tre generazioni, nel corso della sua carriera le ha attraversate tutte. Ed in occasione della Giornata mondiale contro l’AIDS che si celebra, ogni anno, il 1° dicembre, in un’intervista a Sanità Informazione, ne ripercorre le tappe fondamentali.
Per comprendere lo straordinario progresso di questi quasi 35 anni di storia della medicina il professor Andreoni cita un numero: il 95. «Nel 1987, quando è entrato in commercio il primo farmaco per il trattamento dell’HIV, la mortalità era del 95% entro un anno dalla diagnosi. Ora, il 95% rappresenta le persone che sopravvivono, i pazienti che ottengono il successo terapeutico, grazie al quale possono contare su un’aspettativa di vita uguale a quelle delle persone di pari età non infettate dal virus». Questo straordinario risultato è stato raggiunto attraverso tappe intermedie altrettanto eccezionali. «Il vero salto di qualità è stato compiuto nel 1996 con l’approvazione degli inibitori della proteasi, farmaci completamente diversi dai precedenti, tutti appartenenti ad una medesima classe», racconta Andreoni.
L’evoluzione dei trattamenti ha permesso, poi, anche di agevolarne le modalità di assunzione: «Si è passati da una terapia di 16 compresse al giorno ad un’unica assunzione quotidiana, con una notevole diminuzione pure degli effetti collaterali», dice l’infettivologo. Ma ciò che sorprende maggiormente è l’efficacia di questi trattamenti di ultima generazione: «I pazienti che assumono terapie adeguate non veicolano il virus: possono avere una vita sociale normale, rapporti sessuali finalizzati alla procreazione, senza rischiare di trasmettere la malattia», precisa lo specialista.
All’evoluzione dei trattamenti è corrisposto, inevitabilmente, anche un cambiamento dell’approccio medico. «Innanzitutto – spiega Andreoni -, la maggior parte dei pazienti che oggi trattiamo sono over 60, persone che hanno ricevuto la diagnosi di Hiv negli anni ’80. Questo significa che gli specialisti devono occuparsi anche delle patologie della senescenza e dell’evoluzione che possono avere in questa classe di pazienti. Trattandosi di un virus altamente infiammatorio, le comorbidità tendono a svilupparsi molto più velocemente nei pazienti affetti da HIV, rispetto al resto della popolazione. Per questo – spiega Andreoni – i soggetti con HIV, oltre che dall’infettivologo, dovranno essere necessariamente assistiti da un team multispecialistico».
Accanto a questi pazienti diagnosticati nell’ultimo ventennio del secolo scorso ci sono coloro che hanno ricevuto la diagnosi molto più di recente. «Se negli anni ’80 le persone scoprivano di essere affette da HIV verso i vent’anni di età, oggi la diagnosi arriva mediamente intorno ai 35. Questo perché la paura di contrarre il virus dell’HIV è sempre meno diffusa e si effettua il test per rilevarne l’eventuale presenza solo alla comparsa dei primi sintomi, come ad esempio una grave polmonite. L’HIV può rimanere silente anche per 10-12 anni», dice lo specialista.
Puntare sull’acceleratore delle diagnosi è tra i principali obiettivi del prossimo anno. «In questa giornata dedicata all’HIV vogliamo sensibilizzare Istituzioni, Sanità e cittadini sull’importanza degli screening per una diagnosi precoce. È necessario recuperare anche il tempo perduto in questi due anni di pandemia. Contemporaneamente, è indispensabile diffondere il messaggio che “Undetectable equals Untransmittable” (U=U): i pazienti affetti da HIV se curati non veicolano il virus e possono condurre una vita normale, da ogni punto di vista». Dopo i notevoli risultati ottenuti per il trattamento della patologia è giunta l’ora che anche lo stigma sia curato con altrettanto successo.
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