La referente per il contrasto alla violenza di genere dell’Asl Napoli1-centro: «Vivere in una costante condizione di disparità causa depressione: l’autostima cala, l’umore cambia, fin quando ci si convince di non valere nulla»
In Italia, una donna su tre subisce violenza. Può accadere ovunque: dentro le mura domestiche, a lavoro, per strada. Anche se, nella maggior parte dei casi sono i partner, o gli ex, gli artefici degli atti peggiori, responsabili del 62,7% degli stupri e del 38% dei femminicidi.
Una scia di violenza che dovrebbe essere arrestata prima che generi ferite insanabili o, addirittura, letali. «Gli operatori sanitari hanno il compito di riconoscere le situazioni a rischio, non semplicemente il dovere di curare le ferite, quando il peggio è già accaduto. Devono evitare che questo “peggio” si consumi». È l’appello che Antonella Bozzaotra, presidente dell’Ordine degli Psicologi della regione Campania, lancia ai suoi colleghi e a tutti i professionisti sanitari, in occasione della Giornata mondiale contro la Violenza sulle Donne.
La dottoressa Bozzaotra, dirigente psicologa e referente per il contrasto alla violenza di genere dell’Asl Napoli1 -centro, ha le idee molto chiare sulle strategie da mettere in campo per tentare di arginare il fenomeno: «La prima azione da compiere, guardando il fenomeno da un punto di vista sanitario – ha specificato la psicologa – è garantire parità di genere, sia in famiglia, che sul luogo di lavoro».
In una sola parola: prevenzione. Ed è proprio per mettere in campo azioni preventive e di sensibilizzazione che, il 17 dicembre 1999, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha istituito la Giornata mondiale contro la Violenza sulle Donne, celebrata, in tutto il mondo, il 25 novembre di ogni anno. Un’occasione per non dimenticare le vittime, ma anche per ricordare che queste forme di violenza possono essere dei killer silenziosi che, pur non uccidendo fisicamente una donna, l’annientano psicologicamente.
Un dramma che, potenzialmente, potrebbe coinvolgere chiunque: «Non esiste un identikit di donne più vulnerabili di altre – ha spiegato Bozzaotra – perché è nell’immaginario collettivo di tutti la credenza che le relazioni sentimentali siano basate sul possesso».
E allora cos’è che può far “scattare l’allarme”? «Vivere in una costante condizione di disparità causa malattia. Pensiamo ad esempio – ha detto la dirigente psicologa dell’Asl Napoli 1-centro – ad una situazione, non troppo rara, in cui si sperimenta una subordinazione economica: la donna rinuncia al proprio lavoro per accudire i figli, poi, con il passare del tempo il coniuge le nega anche un budget economico per provvedere alle proprie esigenze personale. La donna comincia a sentirsi impotente, non in grado di badare a se stessa. Avendo accanto un uomo che la sottovaluta, che sminuisce ogni cosa che fa, si ammala. L’autostima cala, l’umore cambia, fin quando ci si convince di non valere nulla. Poi, arriva la depressione».
E lo stato depressivo di cui soffre una donna vittima di violenza non può essere trattato come quello di chiunque altro: «Tutti gli operatori sanitari, e non solo quelli che lavorano all’interno di un centro antiviolenza – ha spiegato Bozzaotra – devono essere in grado di individuare una depressione scaturita da una relazione malsana. Purtroppo, però, a causa di una mancanza di adeguata formazione, non tutti gli operatori sanitari hanno chiara questa categoria della violenza psicologica e riescono a trattare la patologia da un punto di vista di genere».
Quando una donna mette piede in un centro antiviolenza, infatti, è molto probabile che non sia al suo primo passo: «È verosimile – ha specificato la psicologa – che si sia rivolta già ad altri professionisti e che questi l’abbiano indirizzata altrove». Non riconoscere una situazione di rischio può, dunque, significare non garantire ad una vittima l’aiuto di cui ha bisogno. «Grazie al sostegno di personale qualificato – psicologi, psicoterapeuti, assistenti sociali, legali – la donna vittima di violenza muta il suo livello di consapevolezza rispetto agli atti subiti. Il passato non può essere cancellato, ma è possibile imparare a prendersi cura delle ferite che ha generato».
E lungo questo percorso la donna, presa coscienza della sua situazione, riesce anche a denunciare l’artefice delle violenze subite: «La denuncia, infatti – ha concluso la psicologa – non è mai un punto di partenza, piuttosto un punto di arrivo».