«Le donne sognano più degli uomini. I bambini, grazie ai sogni, stimolano lo sviluppo della memoria implicita. In alcuni soggetti adulti, invece, sogni con particolari contenuti possono essere il campanello di allarme di patologie neurodegenerative». L’intervista a Luigi Ferini Strambi, specialista Sin, Società Italiana di neurologia
Sognare aiuta a vivere meglio e, in alcuni casi, può anche allungare la vita. «Sogni con particolari contenuti possono essere il campanello di allarme di patologie neurodegenerative». Luigi Ferini Strambi, professore di Neurologia dell’università Vita-Salute San Raffaele e direttore del centro di Medicina del Sonno dell’Ospedale San Raffaele di Milano, con il suo team di ricerca ha dimostrato una possibile correlazione tra ciò che si sogna e il rischio di sviluppare alcune malattie che colpiscono il sistema nervoso. Sanità Informazione lo ha intervistato in occasione della Giornata Mondiale dei sogni che si celebra ogni 25 settembre.
Per arrivare a questa conclusione gli studiosi hanno analizzato alcuni pazienti con Disturbo comportamentale in sonno Rem (RBD): «Il soggetto affetto da RBD – ha spiegato lo specialista della Sin – durante il sonno Rem non presenta la consueta atonia muscolare, tipica caratteristica di questa fase del sonno. Al contrario, vivono il sogno, si agitano, sognano di difendersi e di attaccare. Sono aggressivi nella fase onirica e tendenzialmente molto calmi durante la veglia. Un atteggiamento di questo tipo – ha specificato Ferini Strambi – può essere la spia preventiva di una patologia come il Parkinson, che potrebbe manifestarsi anche a distanza di 7-10 anni».
I ricercatori, oltre al comportamento del sognatore con RBD, hanno analizzato anche il contenuto del sogno: «In genere – ha continuato il professore di Neurologia – sognano animali, anche fantastici, e non hanno mai sogni di natura sessuale. Il loro contenuto onirico, dunque, essendo molto simile a quello dei bambini, presenta una regressione, arretramento che potrebbe metterci in allerta su un possibile rischio di patologie neurodegenerative».
Questo è solo uno degli incredibili risultati ottenuti in oltre mezzo secolo di studi dedicati ai sogni. «Le prime ricerche scientifiche sui sogni – ha detto Ferini Strambi – risalgono agli anni ’50, periodo in cu si scoprì il sonno Rem (Rapid eye movement – Movimento oculare rapido). Questi primi ricercatori si accorsero che, svegliando soggetti in corso di sonno Rem, questi ricordavano i loro sogni. Destandoli, invece, in una fase diversa del sonno non ricordavano nulla».
«Successivamente – ha commentato il professore di Neurologia – si è poi scoperto che questa equazione “sonno Rem uguale sogno” non è poi così universale. È stato sperimentato che pur sottraendo il sonno Rem al soggetto questo può comunque continuare a sognare».
In particolare, è stato grazie all’utilizzo di sofisticate tecniche diagnostiche che lo studio dei sogni ha fatto ulteriori passi in avanti: «È stato dimostrato – ha detto Ferini Strambi – che ciò che determina il ricordo del sogno è legato anche all’attività cerebrale registrata nelle zone posteriori del cervello. L’importanza dei lobi occipitali era già stata sottolineata da altri studi che avevano dimostrato come gli individui con una lesione in quella parte del cervello avessero come caratteristica proprio quella di perdere la capacità di sognare».
È possibile, dunque, non sognare mai? O semplicemente non lo ricordiamo? «Fatta eccezione di alcuni casi particolari, come ad esempio quelli di individui con lesione nella zona dei lobi occipitali del cervello di cui abbiamo parlato – ha specificato il professore – tutti sogniamo. Il ricordo del sogno, invece, è legato ad una serie di fattori: la fase del sonno in cui ci si sveglia, le modalità dolci o brusche del risveglio».
Anche età, genere e tratti della personalità influiscono sulla capacità di ricordare un sogno: «Le donne ricordano ciò che sognano più degli uomini, mentre le persone che presentano tratti di personalità inclini a rimuovere le cose negative, in genere, ricordano meno i sogni, specialmente quelli poco piacevoli».
«Ancora, soggetti che soffrono di insonnia, che tendono ad avere un sonno frammentato tendono a ricordare di più i loro sogni. Sogni che di solito appaiono più lunghi, negativi, con tematiche legate alla salute. Chi soffre di Osas (la sindrome delle apnee ostruttive nel sonno) tende a fare sogni carichi di emozioni, molto violenti, al punto da poter avere delle reazioni motorie durante il sonno. In altre parole, la frammentazione del sonno aumenta l’attività onirica. Di contro, chi tende ad avere un sonno più tranquillo e regolare ricorda meno i suoi sogni».
Ma che si abbia o meno memoria di ciò che si sogna, l’importante è sognare: «Il sogno è una delle funzione più importanti. Non se può fare a meno, è una necessità imprescindibile per il funzionamento del cervello. Soprattutto nei bambini. I più piccoli sono nella fase Rem per il 50% del riposo notturno. Il sonno Rem è implicato nella memoria implicita (la memoria di come si fanno le cose e di come si usano gli oggetti, detta anche memoria procedurale, ndr) ed è quindi necessario al loro sviluppo».
In tutti questi anni dedicati allo studio del sonno, la scienza è andata ben oltre la definizione del sogno e delle sue funzioni: «Sono stati fatti esperimenti anche sulla manipolazione del sonno lucido. È stato sperimentato il risveglio nel corso di un sogno per creare un finale diverso. Così come è stato provato – ha aggiunto Ferini Strambi – che inserendo degli odori durante il sonno Rem si riescono a cambiare alcune parti del sogno».
«Ma sognare è talmente spontaneo e bello che, al di là delle manipolazioni o degli studi per svelarne i segreti – ha commentato il professore di Neurologia – sarebbe bello non arrivare fino in fondo, mantenere il mistero. Ricordarci che il cervello è una meraviglia che, come tale, – ha concluso Ferini Strambi – deve conservare parti nascoste ed inesplorate».