Salute 11 Ottobre 2024 13:25

Giornata della Trombosi: le donne hanno un rischio aumentato. Ecco perché

L’International Society on Thrombosis and Haemostasis (ISTH) dedica a queste patologie la Giornata Mondiale del 13 ottobre, nel giorno del compleanno di Rudolf Virchow, scopritore delle cause della trombosi

di I.F.
Giornata della Trombosi: le donne hanno un rischio aumentato. Ecco perché

Ogni anno si verificano nel mondo circa 10 milioni di casi di malattia tromboembolica venosa (TEV) e una persona su 4 muore per cause correlate alla trombosi. La TEV rappresenta infatti la terza più frequente malattia cardiovascolare (dopo infarti e ictus) ed è anche una delle più comuni cause di mortalità e disabilità a livello mondiale. Ma è una condizione largamente prevenibile e trattabile. A patto di conoscerla e riconoscerla.

I fattori di rischio femminili

“Nella vita di una donna – ricorda il professor Roberto Pola, docente di medicina interna presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma, direttore della UOSD Percorso Trombosi di Fondazione Policlinico Gemelli e Segretario Nazionale della Società Italiana di Angiologia e Patologia Vascolare (SIAPAV) – esistono condizioni peculiari che la pongono a rischio di trombosi: l’assunzione di pillole estro-progestiniche, per la terapia ormonale, può aumentare il rischio di trombosi in particolare se associata al fumo; la gravidanza e il puerperio sono periodi a rischio trombotico; la menopausa torna ad essere un periodo ad aumentato rischio”. E ci sono decisioni terapeutiche complesse da prendere. “Una donna che sviluppa trombosi in gravidanza – spiega il professor Pola – potrebbe dover proseguire la terapia anticoagulante per prevenire nuovi episodi a vita, perché in questo caso non si tratta di una trombosi ‘provocata’, come quelle che insorgono dopo una frattura o un intervento chirurgico; la trombosi in gravidanza pone la donna in un’area intermedia nella quale c’è una condizione che ha ‘favorito’ la trombosi, ma magari si tratta anche di una persona più predisposta alle trombosi”. Cosa fare per ridurre il rischio trombotico? “Movimento, evitare la stasi venosa, non prendere troppo peso – spiega il professor Pola-. Nelle donne con i segni dell’insufficienza venosa cronica (varici, teleangectasie, vene reticolari superficiali) è consigliabile la calza elastica. Mentre i campanelli d’allarme da valorizzare per eseguire in tempi rapidi un ecodoppler venoso sono una gamba che si gonfia, si arrossa o fa male”. Proseguendo nella storia naturale della vita di una donna, si arriva alla menopausa; e qui, aumenta di nuovo il rischio trombotico. “Tra le varie alterazioni che si verificano in questo periodo- ricorda il professor Pola – ci sono anche quelle dell’equilibrio coagulativo ed emostatico. A contribuire all’aumento del rischio trombotico sono anche l’aumento di peso, la riduzione dell’attività fisica, l’aumentata concentrazione plasmatica di alcune proteine coagulative. Anche la terapia ormonale sostitutiva può contribuire ad aumentare il rischio trombotico in donne predisposte. C’è poi naturalmente tutto il tema delle trombosi nelle pazienti con alcuni tumori femminili, come quelle con tumore dell’ovaio, anche se il rischio aumenta in generale per tutti i tumori, con un incremento di rischio di circa 4 volte”.

Le terapie

“Mentre la donna ha una stigmate di aumentato rischio trombotico che la accompagna per tutta la vita –  ricorda il professor Valerio De Stefano, Ordinario di Ematologia all’Università Cattolica, direttore della UOC Servizio e Day Hospital di Ematologia di Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCSS, Presidente dellaSocietà Italiana per lo Studio dell’Emostasi e della Trombosi (SISET) – in realtà, per quanto riguarda la terapia anti-coagulante non ci sono sostanziali differenze di genere, rispetto a quella riservata all’uomo. Viene segnalata una minore incidenza di eventi emorragici maggiori, ma la donna che deve essere sottoposta a terapia anticoagulante, in età fertile, ha un ulteriore problema legato al fatto che soprattutto i nuovi anticoagulanti orali diretti hanno un effetto importante sul flusso mestruale, aumentandolo in maniera significativa e questo naturalmente può avere un impatto significativo sulla qualità di vita, in particolare nelle pazienti che hanno indicazione a fare il trattamento a lungo termine”. Oltre ai cosiddetti ‘nuovi anticoagulanti orali’ (che è ormai un controsenso definire così, visto che si stanno avviando alla genericazione), all’orizzonte ci sono gli antagonisti del fattore XI, ma i trial clinici sono ancora in corso. “La vera novità in campo terapeutico – spiega il professor De Stefano – riguarda invece il fine tuning della terapia anticoagulante, in particolari contesti e situazioni. A esempio la tendenza attuale è quella di privilegiare la protezione del rischio trombotico, utilizzando gli anti-coagulanti, magari a dosaggio ridotto, anche in situazioni in cui una volta queste terapie, una volta avvenuta la guarigione dall’episodio trombotico, venivano sospese”. È il caso ad esempio delle trombosi da terapia estro-progestinica o delle trombosi in gravidanza. “Ma non è detto che questo tipo di atteggiamento terapeutico – riflette il professor De Stefano – cioè proseguire il trattamento anticoagulante anche dopo la guarigione dall’episodio trombotico, sia sempre adeguato. Anche se ridotto infatti, con queste terapie c’è sempre un rischio emorragico, che può essere anche di tipo maggiore. Sono dunque decisioni terapeutiche complesse da valutare ed è per questo che riteniamo che la gestione del trattamento delle trombosi e soprattutto del ‘dopo-trombosi’ debba essere gestita dallo specialista, perché ci si muove sempre tra la Scilla delle emorragie e la Cariddi dell’aumentato rischio trombotico. Queste considerazioni sono condivise da tutte le Società Scientifiche che sono coinvolte nella gestione del TEV, e una iniziale ipotesi di AIFA di possibilità prescrittiva generalizzata a tutti i medici (nota 101) è stata ora sospesa, dopo la pubblicazione di un documento sottoscritto da 8 Società Scientifiche, mantenendo la gestione in carico agli specialisti di settore.  Qui al Gemelli – conclude il professor De Stefano, come testimonia anche questo convegno, giunto alla sua terza edizione, abbiamo creato per la gestione delle malattie tromboemboliche un’alleanza tra ematologi e internisti, gli specialisti che si occupano in modo prioritario del trattamento delle trombosi venose. Una collaborazione stretta, purtroppo non presente dappertutto e che rappresenta un modello assistenziale multidisciplinare, integrato, virtuoso”.

 

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