L’associazione Albinit: «Lavorare per superare difformità di presa in carico sul territorio. Fondamentale relazione tra medico e paziente»
È il 18 dicembre 2014 quando l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, adottando la Risoluzione 69/170 e prendendo atto della allarmante diffusione di attacchi contro gli albini perpetrati soprattutto nell’Africa subsahariana, proclama il 13 giugno la Giornata Internazionale dell’Albinismo. Una riflessione su quanto e perché oggi conti, in particolare, aver calendarizzato questa giornata, Sanità Informazione l’ha fatta grazie alla testimonianza di Elisa Tronconi, presidente dall’associazione di pazienti Albinit APS.
«L’albinismo rientra nell’ambito delle malattie genetiche rare, anche se noi preferiamo definirla “condizione” piuttosto che malattia – afferma Tronconi -. Condizione che determina nel soggetto una carenza parziale o totale di melanina, con due risvolti importanti: uno più evidente, che si manifesta nella colorazione estremamente chiara di capelli ed epidermide, ed uno meno evidente cioè l’aumentata probabilità di sviluppare problematiche a livello dermatologico tra cui tumori della pelle. La caratteristica più impattante – prosegue – che accomuna le persone con albinismo è però, sicuramente, l’ipovisione accompagnata a nistagmo, insieme alla fotofobia. La rarità della malattia e la mancanza di un registro nazionale, fino a pochi anni fa hanno reso difficile valutare l’incidenza dell’albinismo. I lavori epidemiologici in merito sono pochi, ma l’incidenza mondiale si aggira intorno ad un caso su 17.000/20.000».
«Trattandosi di una condizione ereditaria, che si manifesta nel 25% dei casi di incrocio tra portatori sani di albinismo – spiega Tronconi – la limitazione geografica gioca un ruolo importante nell’epidemiologia dell’albinismo. In alcune aree geografiche in cui per motivazioni socio-culturali erano o sono tuttora diffusi rapporti e matrimoni tra consanguinei, l’incidenza dell’albinismo è più alta. Pensiamo al gruppo etnico Kuna, che risiede nell’area di Panama, dove un bambino su 145 è albino, o all’Africa subsahariana dove l’incidenza di albinismo è di 1 su 5000, con picchi, in alcune comunità, di 1 su 1000. E anche in generale nelle isole abbiamo una percentuale piuttosto alta di albinismo tra la popolazione, ascrivibile probabilmente alla loro maggior “chiusura” verso l’esterno».
«Nella gestione del paziente affetto da albinismo sicuramente il livello di competenza clinica è migliorato negli ultimi decenni – osserva Tronconi – ciononostante, trattandosi comunque di una malattia rara, ci troviamo davanti a un livello di informazione e di trattamento non uniforme sul territorio nazionale, non solo tra le Regioni ma talvolta persino tra le singole Asl. In generale, è importante una relazione evoluta tra medico e paziente nell’ambito della quale quest’ultimo possa agevolmente spiegare al primo in che modi e in che misura la condizione dell’albinismo impatta sul vissuto quotidiano e, in base, a questo, elaborare una strategia di presa in carico personalizzata e multidisciplinare».
«Oltre all’aspetto clinico e sanitario – sottolinea la presidente Albinit APS – c’è quello sociale su cui è importante intervenire ed è quello in cui quotidianamente la nostra associazione si impegna maggiormente. Questo impegno nasce sia per sensibilizzare e informare chi non conosce questa condizione, aiutando a rapportarsi ad essa in modo adeguato e non discriminatorio, sia nei confronti delle persone con albinismo, soprattutto i giovanissimi e i loro genitori. Questi ultimi infatti, nonostante siano attentissimi e armati delle migliori intenzioni, manifestano talvolta un approccio sbagliato focalizzandosi sul “problema” dei loro figli e sulle possibili soluzioni, piuttosto che sulla persona e sulle sue potenzialità da valorizzare».
«Oggi l’importanza di una giornata nazionale dedicata all’albinismo è più forte che mai – osserva Tronconi – intanto perché in alcune civiltà purtroppo ancora oggi le persone affette da albinismo soffrono anche di uno stigma sociale, derivante da credenze religiose e popolari, da superstizioni. In questi contesti, diffusi soprattutto nell’Africa subsahariana, gli albini vengono sottoposti a rituali anche macabri e vivono una vita spesso segnata dall’emarginazione e dalla discriminazione. Ma anche senza andare così lontano, nell’ambito della nostra evoluta civiltà, se è vero che l’informazione e la comunicazione sono rese più facili dai social, altrettanto veloci corrono, purtroppo, le discriminazioni, le fake news e i fenomeni di bullismo. Ecco perché è fondamentale – conclude – diffondere e promuovere consapevolezza su tutti i livelli, da quello sanitario a quello socioculturale, relativamente a questo tema».
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