In Italia la Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva colpisce tra il 5 e il 10% della popolazione adulta di età superiore ai 40 anni. Ancora poco conosciuta, la BPCO può portare una consistente riduzione della capacità respiratoria. Prof.ssa Paola Rogliani: «Quando il sintomo è palese, il danno è già abbastanza esteso»
Il 20 novembre si celebra in tutto il mondo la Giornata mondiale della Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva, anche conosciuta come BPCO. Si tratta di una malattia dell’apparato respiratorio caratterizzata da un’ostruzione irreversibile delle vie aeree. La BPCO è solitamente progressiva ed è associata a uno stato di infiammazione cronica del tessuto polmonare. La conseguenza a lungo termine è un vero e proprio rimodellamento dei bronchi, che provoca una riduzione consistente della capacità respiratoria.
«La BPCO è una condizione complessa ed eterogenea» spiega la Prof.ssa Paola Rogliani, Direttore U.O.C. Malattie Apparato Respiratorio dell’Ospedale Tor Vergata di Roma, intervenuta al XX Congresso Nazionale AIPO, tenutosi a Firenze. «Dietro questo acronimo, spesso incomprensibile per i pazienti, si nascondono numerosissimi quadri clinici che hanno caratteristiche completamente diverse anche per distribuzione in termini anatomici. Può colpire le vie aeree come può colpire il polmone stesso, quindi il parenchima con varietà di fenotipi che però chiamiamo tutti BPCO. Caratterizzati tutti dall’avere un’ostruzione bronchiale che documentiamo con la spirometria, ma che necessita di essere diversificata poi nell’inquadramento terapeutico».
In Italia la Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva colpisce tra il 5 e il 10% della popolazione adulta di età superiore ai 40 anni. Nei soggetti con età superiore ai 70 anni, la prevalenza di BPCO moderata e severa si aggira intorno al 20% per gli uomini e al 15% per le donne, con una mortalità (dati ISTAT 2018) che la colloca al terzo posto tra le cause di decesso per gli uomini (86,5/100.000 abitanti) e al quinto per le donne (73,6/100.000 abitanti).
Una malattia ancora difficile da diagnosticare nelle sue prime fasi. «La sintomatologia è caratterizzata da affanno, dispnea da sforzo e tosse. Questi sono i sintomi principali, – spiega ai microfoni di Sanità Informazione – ma quello che fa rivolgere il paziente al medico e che lo turba particolarmente è sicuramente l’affanno sotto sforzo, quindi non poter effettuare le attività che un tempo erano svolte con facilità. Tuttavia, quando il sintomo è così palese, il danno è già abbastanza esteso».
Per la BPCO, come per altre patologie, l’aderenza alle terapie è tra le difficoltà con cui si misura spesso il medico curante. «Terapia che nella maggior parte dei casi viene effettuata con dispositivi inalatori. Quindi – spiega la Prof.ssa Rogliani – le molecole che vengono utilizzate vengono distribuite direttamente nelle vie aeree attraverso dispositivi inalatori e non sempre questo viene percepito come un trattamento reale dai pazienti. Tant’è che l’aderenza è una delle problematiche maggiori in questa tipologia di pazienti».
Esistono diversi fattori di rischio, alcuni individuali, altri di origine ambientale. Come si legge nel Portale dell’epidemiologia per la sanità pubblica a cura dell’Istituto Superiore di Sanità, tra i fattori individuali, oltre alla predisposizione genetica, ci sono alcune patologie respiratorie complesse che possono contribuire allo sviluppo della malattia, in particolare l’asma e l’ipersensibilità bronchiale. Tra i fattori ambientali, numerosi studi indicano che il principale fattore di rischio per lo sviluppo della Bpco è il fumo di tabacco. Anche il fumo passivo può contribuire parzialmente allo sviluppo della malattia, in quanto favorisce l’inalazione di gas e particolato. Gioca un ruolo determinante anche l’esposizione a polveri, sostanze chimiche, vapori o fumi irritanti all’interno dell’ambiente di lavoro (per esempio silice o cadmio).
Altri fattori di rischio, seppure meno influenti, associati allo sviluppo della Bpco sono l’inquinamento dell’aria: non solo quello atmosferico causato da smog e polveri sottili, ma anche quello presente all’interno degli ambienti chiusi, provocato dalle emissioni di stufe, apparecchi elettrici, impianti di aria condizionata ecc. Infezioni respiratorie come bronchiti, polmoniti e pleuriti possono predisporre infine al deterioramento dei bronchi.
Da qui nasce l’esigenza di «fare delle campagne di prevenzione e soprattutto delle campagne di conoscenza della malattia, affinché questa sintomatologia venga riconosciuta» spiega ancora Rogliani. «Proprio per dare voce a questa condizione e fare in modo che sia conosciuta e soprattutto riconosciuta, sia dai pazienti sia da coloro che se ne occupano».