Il 14 febbraio è una data conosciuta a livello mondiale per la ricorrenza di San Valentino, il giorno degli innamorati. Ma è anche una data dedicata al cuore in senso più letterale: ricorre oggi infatti la Giornata Mondiale delle cardiopatie congenite. La campagna di informazione SIN e SICP: «Essenziale presa in carico e follow up multidisciplinari»
Il 14 febbraio è una data conosciuta a livello mondiale per la ricorrenza di San Valentino, il giorno degli innamorati. Ma è anche una data dedicata al cuore in senso più letterale: ricorre oggi infatti la Giornata Mondiale delle cardiopatie congenite, che in Italia interessano circa un neonato ogni 100 nati vivi. Le cardiopatie congenite vengono definite come anomalie del cuore e/o dei grandi vasi, già presenti durante la vita fetale, e rappresentano il 40% di tutte le malformazioni. Hanno una mortalità del 4% in epoca neonatale (periodo che comprende i primi 28 giorni di vita) ed un rischio di complicanze ed esiti che differisce in base alla severità e complessità del difetto presente.
Alcune cardiopatie congenite sono definite critiche: sono tutte quelle malformazioni semplici o complesse a rischio di scompenso acuto e che necessitano di una procedura interventistica o correzione chirurgica entro il primo mese di vita; si stima una prevalenza di 1 ogni 1000 nati vivi. Rientrano nella categoria delle cardiopatie congenite critiche la sindrome del cuore sinistro ipoplasico, le cardiopatie con ostruzione all’efflusso sinistro (stenosi aortica severa, coartazione aortica, interruzione dell’arco aortico), le cardiopatie con ostruzione all’efflusso destro (stenosi polmonare critica o atresia della polmonare a setto intatto, Tetralogia di Fallot estrema), la trasposizione delle grandi arterie, il ritorno venoso polmonare anomalo totale.
Le cardiopatie congenite, come tutte le malformazioni, riconoscono una patogenesi multifattoriale, nella quale giocano un possibile ruolo fattori ambientali e tossici, accanto a fattori genetici, sempre più frequentemente identificati. Tra le misure preventive possibili, idonee a ridurre il rischio di insorgenza di malformazioni congenite, la dieta ricca di acido folico (supplementazione da iniziare almeno tre mesi prima del concepimento), l’adozione di stili di vita appropriati (evitare alcuni farmaci, fumo e alcool) durante l’intera gravidanza e la vaccinazione contro le principali malattie infettive a rischio teratogeno, risultano particolarmente raccomandate.
Abbiamo approfondito i temi relativi alla diagnosi, terapia e prevenzione di queste patologie insieme ai presidenti della Società Italiana di Neonatologia (SIN) e della Società Italiana di Cardiologia Pediatrica e delle Cardiopatie Congenite (SICP), fortemente impegnate in campagne di sensibilizzazione ed informazione a riguardo.
«E’ possibile diagnosticare alcune cardiopatie congenite già in epoca fetale – spiega il dottor Luigi Orfeo, presidente della SIN – in genere in occasione della ecografia “morfologica” da effettuarsi fra la 19a e la 22a settimana di gravidanza. In caso di forte sospetto, si indirizza la gestante presso un centro di riferimento di Medicina Materno-Fetale, per eseguire una ecocardiografia fetale di II livello per la conferma della malformazione cardiaca. A questo punto si offre alla coppia un counseling multidisciplinare prenatale (con cardiologo, cardiochirurgo, neonatologo, ginecologo, genetista), allo scopo di precisare il quadro clinico (malformazione maggiore o minore, presenza/assenza di difetti associati) e definire il percorso assistenziale. Con i futuri genitori viene delineato il percorso nascita, programmando il timing e le modalità del parto in centri dotati di reparti di Terapia Intensiva Neonatali e logisticamente collegati a unità di Cardiologia e Cardiochirurgia Pediatrica, per garantire un’assistenza tempestiva e di alta qualità, rispettando, se possibile, le buone pratiche per il corretto instaurarsi della relazione madre-bambino (bonding)».
«A volte, però, la diagnosi avviene dopo la nascita – continua Orfeo – e il sospetto di un problema al cuore può arrivare sia da un sintomo lieve, sia da una “crisi” importante. La priorità in questi casi è fare una diagnosi precisa con l’ecocardiografia e “stabilizzare” il neonato nelle situazioni che configurano una urgenza. A volte è necessario trasferire il neonato in Centri di Cardiologia e Cardiochirurgia pediatrica per completare il percorso di cura. L’impatto emotivo sulla nuova famiglia è in questi casi particolarmente significativo, anche perché a volte condizionato dalla separazione temporanea di mamma e neonato e dalla necessità di ricovero in ambienti di Terapia Intensiva. Solo alcune cardiopatie, definite critiche, richiedono un intervento correttivo precoce, in genere nel primo mese di vita. Più frequentemente il neonato riesce ad adattarsi alla malformazione cardiaca, e le dimissioni avvengono con l’allattamento al seno. In casi selezionati sarà necessario iniziare una terapia con farmaci dati per bocca, che aiutano a mantenere il neonato in compenso in attesa dell’intervento correttivo che può essere programmato dopo i 4-5 mesi di vita».
«Le moderne tecniche cardiochirurgiche sempre più spesso consentono di ottenere delle correzioni della malformazione cardiaca definite complete – precisa il presidente SIN – con ripristino della normale anatomia a garanzia di una funzione adeguata nel tempo. A volte ciò non è possibile ed in questo caso si ricorre ad interventi “palliativi”, che rappresentano dei compromessi di anatomia e funzione. Proprio per questo, attorno al bambino cardiopatico operato, lavorano in modo integrato il cardiologo, il pediatra, il nutrizionista ed anche spesso uno psicologo, per controllare che l’evoluzione psicosociale del bimbo e della sua famiglia segua percorsi di regolarità. Per sottolineare l’evoluzione e le peculiarità del follow up del bambino con cardiopatia congenita – spiega Orfeo – è stato creato l’acronimo GUCH (Grown Up Congenital Heart Disease) ad indicare quei pazienti affetti da cardiopatia congenita (ormai molto numerosi, 80-85%) che raggiungono l’età adulta e devono essere seguiti da personale medico con specifiche competenze in questo ambito».
«La temuta sindrome di Brugada – precisa la dottoressa Silvia Favilli, presidente SICP – non fa parte delle cardiopatie congenite, ma è una “canalopatia”, che interessa cioè i canali ionici della membrana cellulare; è una malattia su base genetica, con trasmissione autosomica dominante (ma l’identificazione del difetto genetico è possibile solo nel 30% dei casi) ed è associata ad un rischio di aritmie e di morte improvvisa. La diagnosi di sindrome di Brugada è posta in presenza di un aspetto elettrocardiografico caratteristico (cosiddetto “pattern Brugada tipo 1”); le manifestazioni aritmiche si presentano tipicamente nell’età adulta, mentre sono molto rare nell’età pediatrica. A seguito di una diagnosi positiva – spiega Favilli – bisognerà estendere la valutazione clinica ed ECG a tutta la famiglia; in caso di identificazione della mutazione nel paziente affetto, è indicata l’analisi genetica nei minori, previa consulenza multidisciplinare per informare i genitori del significato di un eventuale riscontro positivo».
«All’interno della popolazione pediatrica con cardiopatia congenita – prosegue Favilli – ci sono bambini con patologie molto diverse per tipo di anomalia cardiaca, gravità e quindi possibili ripercussioni sullo stile di vita. Per questo è importante che i piccoli pazienti con CC siano “presi in carico” da Centri multispecialistici, che si occupino di tutti gli aspetti, non solo di quelli strettamente cardiologici e cardiochirurgici. Se consideriamo, per esempio, un aspetto molto importante, come lo sport, è necessario che i genitori e il bambino siano aiutati nella scelta da un team multidisciplinare, che includa il cardiologo pediatra, il pediatra e il medico dello sport, per evitare sia attività che potrebbero rappresentare un rischio per la salute – conclude la presidente SICP – sia limitazioni inappropriate».
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