«In realtà, il paziente obeso mangia contro la propria volontà spinto da stimoli ormonali che non può controllare». Così Marco Chianelli, coordinatore della Commissione AME Obesità e Metabolismo
Gli ultimi dati ISTAT evidenziano che quasi 25 milioni di italiani sono affetti da obesità. Parliamo del 46% della popolazione, in particolare uomini. Erroneamente si pensa, anche tra i medici, che sia causata dalla scarsa volontà del paziente. In realtà ne sono responsabili alcune alterazioni genetiche e metaboliche che comportano la riduzione della spesa energetica e del senso di sazietà e l’aumento dell’appetito.
Un anno fa la Comunità Europea ha riconosciuto l’obesità come malattia cronica. In occasione della Giornata Mondiale che si celebra oggi, Sanità Informazione ha intervistato Franco Grimaldi, Presidente Associazione medici endocrinologi (AME) e Marco Chianelli, coordinatore della Commissione AME Obesità e Metabolismo.
«L’obesità è una patologia multifattoriale cronica – spiega Franco Grimaldi, Presidente AME –. È caratterizzata dall’eccessivo accumulo di grasso corporeo. Le cause non sono solo le errate abitudini alimentari, la scarsa attività fisica e lo stile di vita scorretto. Ci sono una serie di fattori endocrini, metabolici e psicologici su cui ci dobbiamo focalizzare. È la conseguenza di una complessa interazione tra un ambiente obesogeno ed una predisposizione genetica».
Cosa si intende per predisposizione genetica? «Parliamo di alterazioni metaboliche e genetiche che causano una riduzione della spesa energetica come consumo calorico, aumentano l’appetito e riducono il senso di sazietà. Agiscono a livello del sistema nervoso centrale – nelle zone di ipotalamo e ipofisi – in cui determinano un’alterazione dei centri della fame e della sazietà» continua Grimaldi.
Un aspetto fondamentale da comprendere per una gestione ottimale del paziente obeso è l’importanza del follow-up e di una terapia cronica dopo la dieta. «Il paziente che si è sottoposto a trattamenti dietetici coadiuvati da farmaci e che è dimagrito deve essere assolutamente seguito come un paziente cronico. Dopo aver risposto bene alla dieta, infatti, la terapia cronica deve essere continuata per evitare la ben nota “sindrome dello yo-yo” (Weight Cycling Sindrome) caratterizzata da un continuo sali-scendi di episodi di perdita e poi recupero del peso».
Oggi sono disponibili nuove terapie mediche tollerate, efficaci e sicure anche per l’uso cronico per consentire il dimagrimento e la riduzione delle complicanze causate dall’obesità. Sono diabete, problemi cardio circolatori, ortopedici, epatici e cognitivi. «Per noi è essenziale far capire al paziente che ci sono una serie di fattori che possono essere affrontati in una maniera multidisciplinare dallo specialista endocrinologo o metabolico» sostiene Grimaldi.
«L’obesità è una malattia che dà grande disagio personale al paziente ma è anche un moltiplicatore di altre patologie – aggiunge Chianelli -. È il risultato di una interazione con l’ambiente obesogeno. Durante la Seconda guerra mondiale, con poca disponibilità di cibi ricchi di calorie, era scarsamente rappresentata. Oggi nella nostra società junk food e cibo spazzatura predispongono soggetti con alterazioni genetiche a sviluppare l’obesità».
E la maggior parte dei pazienti obesi si sente in colpa, convinta di essere debole, causa del proprio stato. «Il paziente obeso è stato considerato nel tempo come una persona con poca volontà che non dice sempre la verità e non fa ciò che dovrebbe. Questo viene vissuto in modo molto colpevolizzante, il malato si sente responsabile della propria condizione. In realtà mangia contro la propria volontà spinto da stimoli ormonali che non può controllare».
Questo porta allo stigma dell’obesità che «peggiora la condizione del paziente sia perché lo condiziona psicologicamente alterandone la qualità della vita sia perché peggiora le sue abitudini alimentari» sottolinea Chianelli. Un pregiudizio, purtroppo, diffuso anche tra medici e specialisti che determina errori nella cura e nell’assistenza. A questo l’AME, molto sensibile sul tema, ha risposto «con l’istituzione di una commissione sull’obesità che intende promuovere l’argomento e di una “scuola Ame per l’obesità”. Servirà a coltivare nuovi endocrinologi che abbiano le competenze per poter trattare questa patologia – evidenzia Chianelli.
Lo scopo «è quello di trasmettere ai colleghi che s’occuperanno di obesità da un lato, l’importanza di un atteggiamento empatico che lo lasci aperto ad esprimere il proprio disagio». Dall’altro l’individuazione della giusta motivazione per seguire «un percorso lungo, complicato e cronico. Dobbiamo partire dal presupposto che non c’è nessuna differenza nel trattare l’obesità rispetto al diabete. Quando la glicemia si normalizza – puntualizza Chianelli – si continua una terapia ipoglicemizzante quando il peso si riduce si continua la terapia per la riduzione del peso».
«Oggi esistono delle medicine in grado di correggere, in parte, delle alterazioni metaboliche nel paziente obeso e vanno prescritte e gestite nella cronicità – sostiene Chianelli -. Da un recente sondaggio AME emerge la scarsa attitudine prescrittiva tra gli endocrinologi italiani. Il percorso è lungo ma l’AME si sta dotando di strumenti per poter affrontare quello che sarà probabilmente il problema del futuro con uno sforzo culturale e organizzativo non da poco» conclude.
«L’obiettivo di AME è rendere il paziente obeso consapevole della propria condizione e accompagnarlo in un percorso impegnativo – aggiunge Grimaldi -. Per questo, è stato inviato un questionario ai soci per esplorare la pratica clinica e l’approccio all’obesità e non solo. Stiamo stilando, insieme alla Sicob – linee guida con consigli pratici ed organizzando eventi macroregionali dal Nord al Sud per spingere i colleghi ad un approccio multisciplinare nel trattamento dell’obesità» conclude Grimaldi.
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato