In occasione della Giornata della Sclerosi Multipla, il 30 maggio, sono stati diffusi i dati aggiornati dello studio MuSC 19 che indaga sulla relazione tra Covid -19 e sclerosi multipla, promosso dalla Società Italiana di Neurologia (SIN) e dall’Associazione Italiana Sclerosi Multipla (AISM) con la sua Fondazione FISM
«La sclerosi multipla (SM) – si legge in una nota della Sin – è una malattia cronica del sistema nervoso centrale che insorge generalmente tra i 20 e i 40 anni con una maggiore frequenza nelle donne. Solo in Italia la SM colpisce circa 126.000 persone e oltre 3400 i nuovi casi l’anno. 1 diagnosi ogni 3 ore. Si tratta di una patologia dal forte impatto emotivo e sociale che comporta una disabilità rilevante, che, spesso, compare dopo alcuni anni di storia clinica di malattia e un lungo decorso che si prolunga per tutta la vita. I sintomi più comuni sono perdita di equilibrio, cattiva coordinazione, tremori, disturbi del linguaggio, vista sfocata, riduzione di forza, perdita della capacità deambulatoria, perdita del controllo sfinterico, deficit delle funzioni cognitive, disfagia, dolore, e fatica, sono variamente presenti anche nello stesso soggetto».
«Lo studio – precisa la Sin – svolto su alcune centinaia di casi conferma come i pazienti con SM, anche in corso di terapia immunoattiva, non hanno avuto un maggior rischio di infezione da SARS-COV2 rispetto alla popolazione generale.»
«L’Italia è stato il primo Paese al mondo a segnalare i casi di infezione da SARS-COV2 in persone con sclerosi multipla – afferma il Professor Gioacchino Tedeschi, Presidente della SIN – pubblicando, appena qualche settimana fa su Lancet Neurology, la prima analisi descrittiva MuSC 19 relativa a 232 pazienti. In queste settimane lo studio MuSC19 non è mai stato interrotto e consente di aggiornare informazioni utili per i nostri assistiti. È importante segnalare, in base ai dati finora raccolti, che non sembra emergere una maggiore suscettibilità al virus o a forme più gravi di COVID 19 per i pazienti con SM. L’analisi dei dati in fase di elaborazione fornirà indicazioni più accurate sull’effetto e sulla gestione delle terapie».
«Tra i dati emersi dallo studio – prosegue – risulta che oltre il 10% dei pazienti oggetto dello MuSC19 ha dovuto fare ricorso a cure ospedaliere e nel 4% circa dei casi a reparti ad alta intensità di cura. Sono stati osservati alcuni decessi in percentuale inferiore al 2% di tutti i casi raccolti, in pazienti con età variabile da 52 a 76 anni; di questi, più della metà non assumevano farmaci specifici per il trattamento della SM; per la maggior parte erano affetti da forme progressive di SM e tutti tranne 1 avevano sensibile disabilità con EDSS superiore a 5.5. La gran parte dei pazienti deceduti era affetta da altre comorbidità quali ipertensione, diabete, coronaropatie, malattie cerebrovascolari, dislipidemia e altre patologie».
«E’ verosimile ritenere – commenta il Professor Francesco Patti, Responsabile del Gruppo di Studio Sclerosi Multipla della SIN – che l’azione di supporto rivolta ai pazienti per far rispettare loro le misure generali di protezione dall’infezione, quali il distanziamento sociale, l’attenzione verso l’igiene, la ridotta esposizione al rischio di essere contagiati (uso mascherine in ospedale, o in ambienti con altre persone, telemedicina, invio a domicilio dei piani terapeutici e persino di certe categorie di farmaci, esenzione dal lavoro) unitamente all’azione immunoregolatoria ed antiinfiammatoria dei farmaci immunoattivi, abbia potuto contenere il possibile maggior rischio d’infezione in persone fragili come quelle con SM».
«La SIN e l’AISM con la sua Fondazione (FISM) – conclude – in grande sintonia continuano a monitorare l’infezione COVID19, aggiornando i dati e suggerendo nuove modalità di comportamento ai pazienti, ai loro caregivers e a lavorare per riadattare l’organizzazione assistenziale negli Ospedali e nel territorio di tutto il paese.
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