Ferrara (AIEA): «Qualche barlume di speranza dalla ricerca scientifica, fondamentale strutturare monitoraggio per diagnosi precoce»
L’uso dell’amianto, nonostante sia vietato in 55 paesi, è ancora ampiamente praticato nel mondo: ogni anno ne vengono prodotte circa 2.030.000 tonnellate. Mediamente, a 20 tonnellate di amianto prodotto corrisponde una persona deceduta. Eppure in Italia i processi che vedono imputati i dirigenti che hanno esposto all’amianto gruppi di lavoratori con conseguenti patologie gravissime, come il cancro del polmone o il mesotelioma pleurico, si concludono quasi sempre con assoluzioni in Corte di Cassazione che smentiscono i giudizi di condanna più frequentemente espressi in primo e secondo grado di giudizio. Talvolta accade persino che, in identiche circostanze, due sezioni della Cassazione emettano giudizi contrapposti. Questo per le vittime è intollerabile: alla sofferenza della malattia e, per i familiari, della perdita di un loro caro, si somma l’incertezza di un giudizio di colpevolezza o assoluzione che dipende esclusivamente dal grado di giudizio penale o dalla Sezione che affronta la revisione del processo in Cassazione.
Oggi, nella Giornata Mondiale dedicata alle Vittime dell’amianto, le associazioni di pazienti e familiari delle vittime chiedono ancora una volta a gran voce che sia fatta giustizia. In attesa di un momento importantissimo: il 7 giugno sarà emessa la sentenza di appello del processo Eternit bis, per i 391 morti di Casale Monferrato. A Sanità Informazione ne parla Enzo Ferrara, componente del direttivo di Medicina Democratica e della Associazione Italiana Esposti Amianto (AIEA).
«Innanzitutto – esordisce – in Italia abbiamo il problema che il riconoscimento del danno e dei relativi indennizzi per gli ex esposti non è automatico: l’onere di intraprendere una causa legale spetta al danneggiato. A differenza di altri Stati europei, dove invece chi ha prestato servizio in una determinata azienda con riscontrata presenza di amianto entra in delle liste speciali e, nel momento in cui si ammala, gli viene riconosciuto il danno e l’indennizzo. Dal punto di vista penale, invece, rimane questa ambivalenza e spesso discrepanza tra le sentenze nei diversi livelli di giudizio, soprattutto quando si arriva in Cassazione».
«Tutto questo accade – continua Ferrara – mentre da un punto di vista scientifico le evidenze di cancerogenesi ad opera delle fibre di amianto stanno evolvendo. L’amianto – spiega – fa parte delle poche sostanze in grado da sole di innescare il processo di deterioramento cellulare che porta allo sviluppo del cancro, che invece nella maggior parte dei casi necessita di una concomitanza multifattoriale per svilupparsi nei suoi vari stadi. Stabilire il momento esatto e la dose fatale che ha dato inizio al processo di cancerogenesi è impossibile, ed è a questo che si appellano le difese delle aziende imputate, ma noi sappiamo che ogni momento di esposizione all’amianto, e qualsiasi esposizione, ha contribuito all’instaurarsi della malattia e a ridurre l’aspettativa di vita dell’esposto».
«Veniamo alla ricerca: le possibilità di cura per il mesotelioma pleurico sono ancora molto ridotte – osserva Ferrara – tuttavia ci sono alcuni studi all’attivo su terapie che agiscano sul Dna, ma anche sulla diagnosi precoce: la Regione Sardegna ha in corso uno studio per individuare i segnali precoci di malattia in base ad indicatori metabolici. Sono studi che sicuramente dimostrano attenzione ai pazienti e agli ex esposti, che non vengono, almeno dalla comunità scientifica, abbandonati al loro destino».
«Questo è un problema politico – sottolinea Ferrara – perché è tutto demandato alle Regioni che si regolano in maniera autonoma e quindi non esiste un protocollo unico di sorveglianza sanitaria degli ex esposti. Alcune Regioni prevedono che, tramite segnalazione al medico curante, ogni due anni l’ex esposto si sottoponga ad esami specifici (TAC e misurazione capacità polmonare). Solo in pochissime Regioni è attivato un programma di sorveglianza legato ai Servizi per la prevenzione e la sicurezza negli ambienti di lavoro. E a tal proposito è doveroso segnalare che proprio il Piemonte, la seconda regione italiana più colpita, con due siti soggetti a bonifica, Casale Monferrato e l’ex amiantifera di Balangero, la più grande miniera d’amianto in Europa fino agli anni Ottanta, non ha ancora attivato un servizio di sorveglianza strutturato per gli ex esposti. Ma andiamo per gradi: ora attendiamo la sentenza del 7 giugno. La nostra associazione sarà presente – conclude – con l’auspicio che la pronuncia della Corte possa essere un tassello per fare finalmente giustizia».
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