La professoressa Giannini (coordinatrice dell’area “psicologia dell’emergenza” dell’Ordine Psicologi del Lazio) spiega il ritorno alla movida dei giovani, il loro rapporto con Covid e l’angoscia del tempo che passa
Prima ringraziati dal ministro della Salute per l’impegno e il rispetto delle regole durante il lockdown, ora tacciati di aver rialzato la curva dei contagi con le vacanze e la movida. I giovani hanno vissuto un 2020 molto complesso dal punto di vista emotivo e psicologico con Covid-19. E questo settembre pesa sugli universitari della fascia d’età 18-24, che dovranno affrontare la fase di convivenza con la pandemia con più di un sacrificio. Su di loro pesa, infatti, il desiderio di tornare alla normalità e l’angoscia di non poterne conoscere la data. Sanità Informazione per parlarne ha raggiunto Anna Maria Giannini, professore ordinario di Psicologia all’Università “La Sapienza” di Roma e coordinatrice dell’area “psicologia dell’emergenza” dell’Ordine Psicologi del Lazio.
La psicologia si è molto interessata alle reazioni e ai comportamenti sviluppati durante la pandemia. Sia perché è un evento che non ha precedenti al mondo, spiega la professoressa, sia perché l’unica vera misura di prevenzione è legata al comportamento umano. «La fascia di cui parliamo (18-24) – precisa – è una fascia in cui le relazioni sociali e il contatto interpersonale sono fondamentali», per la crescita e la formazione delle singole personalità. «Tagliare di colpo una delle funzioni principali della loro vita, cioè quella relazionale, è stato molto difficile», aggiunge.
La pandemia ha dato modo a psicologi e ricercatori di rivalutare quella teoria che vuole i giovani sempre più rifugiati nelle relazioni virtuali e lontani dalla socialità fatta di luoghi d’incontro e contatto fisico. «Abbiamo invece scoperto – racconta Giannini – un livello intenso di sofferenza per l’assenza di relazioni sociali. Finita l’epoca del lockdown è stato infatti impossibile impedire episodi di “movida” nei pub e nei bar, proprio perché l’aggregazione è una motivazione molto forte per i ragazzi».
Durante la chiusura forzata, la professoressa Giannini ha raccolto una serie di questionari online per avvicinarsi alla situazione psicologica che stavano vivendo i ragazzi. Le reazioni sono state differenti, anche in base al proprio equilibrio e alla storia personale. Sono stati evidenziati tuttavia alcuni tratti comuni: sia nei meccanismi di reazione che nei disagi riscontrati.
Molti di loro cercavano di ricreare da subito situazioni che ricordassero la normalità. «Simulavano l’aperitivo serale, chiamandosi in webcam o dal cellulare, con qualcosa da bere e mangiare di fronte e chiacchieravano per ore», spiega la dottoressa. Altri si sono rifugiati nel sostegno delle proprie famiglie: «Quelli che hanno potuto avere delle relazioni familiari e una situazione abitativa costruttiva, hanno reagito meglio».
Si è notato un curioso fenomeno di «valorizzazione delle azioni scontate e di nostalgia della normalità». Per gli universitari non poter vedere colleghi e compagni, fare il break tra una lezione e l’altra, frequentare le lezioni è diventata una mancanza più che profonda, anche quando prima era considerata noiosa. «Ci sono state delle risposte in cui ci hanno detto “io ho rimpianto persino il traffico“, prendere un autobus o stare in fila. Quelle azioni banali che significano normalità».
«È emerso anche il rapporto con i “bollettini di guerra”, ovvero l’annuncio dei dati relativi ai contagi – racconta l’esperta -. L’ansia di scoprire i nuovi numeri e le immagini terribili che arrivavano li ha colpiti molto. Molti hanno cercato di difendersi dalle troppe informazioni per preservarsi, ascoltando meno notizie e rifugiandosi nei propri rapporti».
Dopo il lockdown il loro comportamento è cambiato. Da responsabili e rigidi osservanti a nuovi diffusori del virus in estate, con discoteche e pub di nuovo aperti. Si tratta di un meccanismo di rimozione, spiega l’esperta, «che fa loro dimenticare che questa nuova fase non è un “liberi tutti”, ma un momento di convivenza con Covid-19». Infatti l’età media dei nuovi contagi è scesa fino a toccare quota 29 anni. «Ma le spinte motivazionali della fascia giovanile, sono proprio inclini a soddisfare nell’immediato quelli che sono i loro bisogni. Quindi loro si sono orientati sul “tanto la persona che ho di fronte non è malata”. Lo stesso meccanismo che si ripete in altre situazioni di rischio in cui si ritrovano: abuso di alcol, guida spericolata, comportamento sessuale irresponsabile», per esempio.
È quella che la professoressa definisce «l’idea del lontano da me», che si sviluppa con l’ansia di ricominciare a vivere. «Sostenuta dal messaggio dei media – prosegue – per cui la malattia colpisce maggiormente anziani e adulti. Falso per giunta, perché in realtà colpisce tutti. C’era bisogno di fare un ragionamento prospettico, che prevedesse ciò che poteva accadere nel futuro. Ma è contrario all’approccio giovanile, che non vuole pensare alle conseguenze».
I ragazzi quindi, non hanno paura di morire? «Non di morire, ma di sentirsi limitati e non poter godere della vita ricca che avevano prima. L’idea di morte nella mente di una persona giovane è molto lontana: cognitivamente riescono a capire che esiste, ma non li riguarda mai. È anche questo un meccanismo di difesa contro l’angoscia».
La professoressa Giannini ora invita i giovani ad affrontare l’autunno 2020 con una consapevolezza rinnovata, fatta di razionalità e aderenza alle regole. «La vita universitaria – fa presente – sarà regolate da procedure di sicurezza. C’è una proporzione stabilita di studenti per le aule e degli standard per la frequentazione dei luoghi pubblici. Si può vivere in sicurezza, basta non dimenticare mai che stiamo convivendo con il virus. Non è la vita di prima, e ci impone comportamenti contrari a quelli che ci vengono spontanei».
«L’umanità – conclude – ha superato cose terribili. Se ci lasciamo andare troppo all’approccio emozionale, perdendo di vista quello razionale, possono nascere ansie forti o comportamenti errati. La misura del rischio deve essere studiata, ma i ragazzi devono conservare il loro rapporto con il mondo».
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