Dal Festival della Scienza Medica il direttore della prevenzione del Ministero della Salute ripercorre le fasi della pandemia in Italia, e aggiunge: «L’economia la deprime il coronavirus, non il lockdown»
«Se noi torniamo con la mente a gennaio ci ricordiamo di come tutti fossimo estremamente attenti a quel che avveniva in Cina anche se, onestamente, credo che nessuno di noi sapesse dove si trovava Wuhan. Nessuno immaginava che il coronavirus potesse arrivare in Europa e nessuno poteva lontanamente pensare che in Italia ci sarebbe stato il più importante focolaio mondiale: evidentemente, in realtà, il virus in Italia c’era già». Fa il punto della situazione sullo sviluppo della pandemia da coronavirus Giovanni Rezza, direttore generale della prevenzione presso il ministero della Salute, in live streaming dal Festival della Scienza Medica.
Procede il racconto di Rezza: «Il 21 febbraio, la sera, sarà stata mezzanotte e mezza, mi chiama la Lombardia e mi dice “guarda che qui abbiamo un caso autoctono di Covid-19”. Allora capimmo che la situazione poteva avere un esito drammatico. Di certo questo non era il paziente zero, non sappiamo chi sia stato e probabilmente non lo sapremo mai; dallo studio di diverse catene di trasmissione sappiamo che il virus era già presente in alcune zone della Lombardia almeno da metà gennaio. Sappiamo poi com’è andata: migliaia di casi nel lodigiano, proclamata la zona rossa, il caso veneto di Vo’ Euganeo. Dai nostri studi sappiamo che l’areale della malattia si è poi spostato verso altre zone, fino alle Marche settentrionali. Parliamo di un virus che sostanzialmente può fare come gli pare, prendere vettori anche molto veloci per spostarsi di zona».
«Si arriva così – continua il dirigente del ministero – ai provvedimenti più duri: il 4 marzo chiudono le scuole, l’11 marzo viene proclamato il lockdown, una misura molto drastica, anche con degli esiti psicologici importanti, ma fondamentale e vincente in termini di sanità pubblica: nelle zone rosse il fattore R0, che misura il numero di casi secondari generati da un caso singolo, era arrivato a 3; in seguito alla chiusura tutte le metriche epidemiche sono migliorate. La quarantena resta uno strumento importante, necessario ed essenziale per le zone rosse, intendendo anche per il futuro le ipotesi di lockdown ristretti».
Cosa sta succedendo ora? Quale è la situazione e quel che ci aspetta? Rezza fa il quadro: «Ci sono alcuni dati interessanti che è giusto commentare. Il primo è che questo virus non ha una contagiosità uniforme, ci sono alcuni soggetti con alta carica virale che sono superdiffusori. Gli asintomatici contagiano? Sì, hanno una carica virale praticamente analoga a quella di un sintomatico e se hanno la tosse, per qualsiasi ragione intendo, è ovviamente anche peggio. Si è parlato poi molto di stagionalità del virus: gli altri coronavirus hanno un atteggiamento stagionale, questo pare non averlo. I miglioramenti osservati quest’estate sono stati dati dalle misure di distanziamento sociale e dal contenimento, ma in alcune condizioni, penso alle residenze per gli anziani o al noto caso delle discoteche, abbiamo visto come questa malattia possa fare forti danni anche in estate».
Quali sono allora le priorità per i prossimi mesi? «Necessario è rimanere attenti e vigili. Si parla della necessità di non deprimere l’economia, ma l’economia la deprime il virus, non il contenimento sociale. Nelle prossime settimane dobbiamo puntare a minimizzare la trasmissione familiare e ospedaliera, rafforzare tutte le pratiche di contact tracing, identificare il più possibile le catene di trasmissione. E, francamente – conclude il dirigente del Ministero – mettere in conto di convivere col virus».
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