«La colpa dei 133 mila morti di Covid-19 in Italia è da ritrovare anche nell’assenza di standardizzazione del trasferimento delle conoscenze che man mano si acquisivano, che invece doveva essere rapido e immediato»
Sono numerose le lezioni che la pandemia ci ha insegnato. Ne è convinto Guido Rasi, ex direttore esecutivo Ema, consigliere del commissario Figliuolo e direttore scientifico di Consulcesi, che al Forum Risk Management in modo molto lucido ha analizzato quanto accaduto negli ultimi due anni.
Intanto, secondo il professore «l’80% delle decisioni prese dal governo sono state corrette ed efficaci», considerando «la totale ignoranza che c’era su questo virus nelle prime fasi emergenziali che ha reso impossibile migliorare quel 20% di decisioni che non si sono rivelate del tutto giuste». E la dimostrazione di questo, secondo Rasi, ce la dà il fatto che buona parte del mondo ha seguito la strada che abbiamo intrapreso noi.
Ma quali sono stati, allora, gli elementi di debolezza in questa sfida contro il Covid-19? «La frammentarietà e l’implementazione sul territorio delle decisioni del governo», ha risposto Rasi. Partendo dal primo punto, l’ex direttore esecutivo dell’Ema ha elencato i settori in cui questa frammentarietà è stata sofferta maggiormente: la ricerca, che non ha unito le forze producendo un protocollo unico che consentisse la sperimentazione dei farmaci su coorti di pazienti più ampie, perdendo tempo e non arrivando a risultati concreti; i sequenziamenti, centralizzati nell’Istituto superiore di sanità solo alla fine della scorsa estate «dopo una vera e propria guerra, quando questo è uno dei cardini su cui si gestisce l’andamento di una pandemia»; e l’assenza completa di coordinamento nella formazione del personale sanitario: «In 12 mesi – ha spiegato Rasi – è cambiato molto il modo di trattare i pazienti e l’utilizzo dei farmaci, eppure l’approccio sul territorio è stato ampiamente disomogeneo. E forse – ha aggiunto – la colpa dei 133 mila morti di Covid-19 in Italia è da ritrovare anche nell’assenza di standardizzazione del trasferimento delle conoscenze che man mano si acquisivano, che invece doveva essere rapido e immediato».
«Eppure – ha proseguito – durante una pandemia formare immediatamente tutti gli operatori sanitari sulle best practice è fondamentale. E sarebbe stato anche molto semplice e rapido con gli strumenti informatici che oggi abbiamo a disposizione. Questo – ha aggiunto – è l’aspetto più facile da implementare, ma anche il più critico e importante per la gestione del malato che dovrà essere una costante nella fase post-pandemica».
La seconda carenza riscontrata da Rasi, poi, è stata l’incapacità di prevedere la durata pluriennale della pandemia: «All’inizio tutto il mondo ha pensato che la fine dell’emergenza fosse imminente, dando un orizzonte temporale minimale, di qualche mese. E invece ancora non sappiamo cosa succederà il prossimo anno».
Al livello locale, invece, non sono stati fatti interventi strutturali sul trasporto e la gestione del flusso delle persone, che solo adesso qualche sindaco ha imparato a mettere in pratica ad esempio nei mercatini natalizi. Invece «si è puntato tutto sui vaccini, ma senza spiegare efficacemente ai cittadini cosa sono e cosa possono fare – ha continuato –. A giugno 2020 l’Ema aveva invitato gli Stati membri a prepararsi a spiegare cosa sarebbe successo. Hanno risposto solo il Portogallo e la Finlandia a quell’invito. Sapevamo che sarebbero stati valutati per la protezione dalla morte, dalla malattia grave e dall’infezione, e sapevamo che molto probabilmente il terzo livello di protezione sarebbe stato meno robusto. Se avessimo spiegato a tempo debito tutto questo, avremmo aiutato tutto il mondo ad accettarlo e a comportarsi di conseguenza, diminuendo quelle sacche di no vax che, seppur minoritarie, consentono al virus di continuare a circolare», ha concluso.
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