Le testimonianze degli operatori di Croce Rossa, centri diurni e Polizia in prima linea per aiutare i senza fissa dimora e proteggere la salute pubblica
Sono in tanti, decine di migliaia, coloro che vivono in strada nelle grandi città o nelle zone di frontiera. Sono immigrati o italiani senza fissa dimora. Sono gli ultimi, a cui si presta poca attenzione nelle giornate frenetiche di vita quotidiana, ed ancor meno oggi, quando il timore del contagio da Coronavirus è diventato l’unico pensiero ricorrente. Eppure, loro sono sempre lì in quelle strade che oggi devono essere deserte per tutelare la salute della collettività, ma che potrebbero trasformarli in veicoli di contagio, o semplicemente in soggetti più a rischio.
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CROCE ROSSA MILANO IN STRADA PER OFFRIRE BENI DI PRIMA NECESSITÀ, IGIENIZZANTI E SALVIETTE UMIDIFICATE
«Come Croce Rossa facciamo un’attività ordinaria di monitoraggio – spiega Davide Parisi, co-coordinatore dell’unità di strada che presta assistenza a circa 300 persone ogni settimana a Milano –. Di norma siamo sul territorio nella fascia serale e notturna con altre organizzazioni. In questo momento, però, vista l’emergenza, le realtà più piccole, senza una sezione sanitaria, hanno sospeso le attività; noi invece restiamo operativi e anzi abbiamo rinforzato gli interventi vista la fragilità delle persone in strada, più accentuata rispetto a quella di chi ha un domicilio».
Trenta dipendenti e circa 600 volontari ruotano su turni sempre più lunghi in tre ambiti lavorativi: stoccaggio merci, sanitario e sociale, senza risparmiarsi. Tra di loro anche molti giovani che, dismessi momentaneamente i panni di studenti, si prestano come volontari. «Sono encomiabili – riprende Parisi –. Non è facile in un momento di tensione e paura del contagio essere in prima linea per assistere gli ultimi, ma i nostri volontari sono sempre presenti, perché anche se apparentemente oggi sembrano essere ancora più invisibili, in realtà i senza dimora cercano rifugio presso strutture aperte in grado di fornire loro approvvigionamento e si sta quindi verificando una redistribuzione». Dunque, se a Milano prima del Coronavirus erano in molti a popolare la Stazione Centrale, Piazza Duomo o San Babila, oggi scelgono luoghi più periferici ed hanno nuove necessità. «Avendo chiuso la maggior parte delle docce pubbliche esistenti sul territorio, non potendo sopperire al problema, forniamo beni per l’igiene come gel igienizzanti e salviette umidificate per garantire un minimo di dignità della persona – prosegue il coordinatore della Croce Rossa –. Anche se devo ammettere che non temono il contagio, anzi rifiutano l’idea di un’emergenza sanitaria e pensano sia invece un’invenzione dei potenti. Si tratta di dinamiche persecutorie che spesso manifestano coloro che vivono in strada e che, in questo contesto di spavento generalizzato, è per loro un’arma di difesa per allontanare da sé il pericolo, anche perché se dovessero rispondere in maniera precisa alle indicazioni non avrebbero gli strumenti per farlo».
Regole e restrizioni che invece applicano con rigore le squadre della Croce Rossa che scendono in strada. «Teniamo a maggiore distanza le persone per tutelare noi operatori e gli utenti – racconta Parisi –. La consegna del cibo viene effettuata con i guanti, che di solito non utilizziamo perché vanno a creare una distanza che ostacola il piano relazionale. Abbiamo inoltre rafforzato le quantità di cibo ed i prodotti personali che distribuiamo per i bisogni primari e in caso di sintomi evidenti di raffreddamento o di stato febbrile segnaliamo il caso al 112 che prende in carico l’individuo. Fino ad oggi, fortunatamente solo in una circostanza abbiamo allertato gli operatori sanitari, intervenuti immediatamente. Purtroppo, non abbiamo collaborazione sotto questo aspetto perché i senza dimora tendono a rifiutare qualunque assistenza sanitaria. Il nostro è un grande sforzo organizzativo e operativo, per questo abbiamo anche lanciato una campagna di raccolta fondi perché stiamo drenando risorse alla velocità della luce». Per quanti volessero donare alla Croce Rossa, i riferimenti sono sul sito www.crimi.it e sulla pagina Facebook della Croce Rossa di Milano alla voce “Emergenza Coronavirus”.
ALL’OPERA CARDINAL FERRARI ORARI RIDOTTI E INGRESSO SOLO AI TESSERATI OVER 55
All’Opera Cardinal Ferrari di via Boeri a Milano la porta è sempre aperta nonostante il Coronavirus, ma con alcune restrizioni. «Abbiamo necessariamente dovuto fare delle scelte – spiega un operatore al telefono –. Per rispettare le direttive del governo e della Regione siamo costretti ad accogliere un numero inferiore di senzatetto. In una situazione di emergenza, anche di volontari che sono diminuiti, possiamo garantire l’ingresso dalle 8.30 alle 15.00 ad un massimo di 170 persone con due turni di ristorazione e il servizio guardaroba e docce una sola volta la settimana. Un taglio del 50% di quelli che sono i nostri servizi abituali, ma è stata una scelta obbligata anche per poter tenere la distanza di un metro tra i commensali come imposto dal decreto ministeriale».
Degli oltre 300 frequentatori abituali, ai tempi del Coronavirus possono accedere alla sede dell’Opera Cardinal Ferrari solo i senzatetto tesserati. «Chi ha un letto in un centro di accoglienza o chi ha un’abitazione non può accedere, anche perché il servizio medico che era previsto una volta la settimana è stato sospeso per mancanza di disponibilità dei medici volontari e mancano le mascherine. Il rischio è alto anche perché abbiamo un pubblico di anziani che viaggia con i mezzi pubblici. Fino ad oggi non abbiamo avuto casi conclamati di Coronavirus tra i nostri ospiti, ma credo che molto dipenda dal fatto che chi vive abitualmente in strada ha un numero di anticorpi superiore alla media».
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SE IL CORONAVIRUS VIAGGIA SULLA ROTTA BALCANICA…
Numeri contingentati e regole ferree non sempre sono applicabili in zone di frontiera. È il caso del nord est del Paese, nella zona di Trieste, al confine con la Slovenia, dove la rotta balcanica continua ad essere il principale flusso di immigrati verso l’Italia, nonostante l’emergenza Coronavirus.
«Il personale di polizia di frontiera non è adeguatamente protetto in questo momento di emergenza – è il grido di allarme lanciato dal segretario provinciale del Sap (sindacato autonomo di polizia) di Trieste, Lorenzo Tamaro -. La situazione è surreale – commenta –. I rintracci proseguono lungo la rotta balcanica, i numeri rispetto allo scorso anno sono raddoppiati. La notte scorsa sono stati fermati 28 immigrati e i nostri agenti non hanno le attrezzature idonee per proteggersi. Le mascherine DDP3 sono insufficienti. Solo a Trieste ne sono arrivate 240 per 900 agenti».
Un’emergenza che diventa ancora più evidente in un momento in cui occorre la massima attenzione e un livello di prevenzione superiore alla norma. «Nonostante il rischio contagi sia elevato, non sono stati predisposti locali per l’accoglienza. Non sappiamo se queste persone sono infette, oppure no, e non vengono fatte le verifiche sanitarie del caso». Il primo controllo spetta agli agenti di polizia di frontiera che non hanno strumenti e conoscenze adeguate. «Tutto è lasciato al caso e alla discrezione dei colleghi che, se percepiscono qualche fattore di rischio, possono allertare l’operatore sanitario».
Ancor più difficile individuare soggetti asintomatici durante le pratiche di identificazione e di smistamento. «Il tema vero è la mancanza di strumenti adeguati che costringono gli agenti ad uscire senza protezione. I controlli vengono fatti con le mascherine chirurgiche che vanno bene per proteggere chi già ha contratto il virus, non chi deve proteggersi dal contagio. La fornitura dovrebbe arrivare dal Ministero, ma non ci sono scorte sufficienti. Ieri sono state promesse 100mila mascherine ai carcerati per garantire i colloqui con i familiari, mentre noi agenti dobbiamo uscire con equipaggi non adeguati, mentre i locali e le macchine non vengono igienizzate. Si sta sottovalutando un aspetto fondamentale: la salute delle forze dell’Ordine. Al pari di medici ed operatori sanitari, la nostra presenza sulle strade è fondamentale per garantire il rispetto delle direttive ministeriali e la sicurezza. Se ci ammaliamo o siamo costretti ad andare in quarantena chi garantirà controlli e servizi?».
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