La pandemia ha rallentato l’attività di prevenzione. Quali rischi e cosa fare per tornare alla normalità? L’intervista al Dottor Pasquale Valente
Pur facendo parte dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), dall’inizio della pandemia gli screening hanno subìto uno stop non essendo ritenuti una procedura d’urgenza. Così sin dai primi di marzo sono saltati molti appuntamenti che hanno determinato conseguenze sulle diagnosi e sulla sicurezza della popolazione. Dubbi e preoccupazioni che vogliamo rivolgere al Dottor Pasquale Valente, Medico del Lavoro, Dottore di Ricerca in Igiene Industriale e Ambientale, per capire come ripartire, se esiste un piano di rientro e a che punto siamo.
«I programmi di screening oncologici sono percorsi di sanità pubblica molto articolati organizzativamente, che richiedono multidisciplinarietà, coordinamento dei processi e del personale e monitoraggio continuo degli indicatori di efficienza e qualità riguardo alle prestazioni di I livello (screening di popolazione), II livello (approfondimenti diagnostici) e III livello (trattamento chirurgico). È evidente, con queste premesse, che l’insorgenza improvvisa di una epidemia come quella del Covid-19, dovesse necessariamente produrre ampie perturbazioni su tali percorsi ed un impatto significativamente negativo sugli output dei tre programmi. In concomitanza con il lockdown c’è stato un periodo di fermo degli inviti e la ripresa successiva è stata lenta, dovendo da un lato garantire più stringenti standard di sicurezza ed il distanziamento fisico degli utenti e dall’altro riconquistare la fiducia della popolazione nella possibilità di accedere con tranquillità ai servizi».
«L’incidenza della maggior parte dei tumori aumenta notevolmente con l’avanzare dell’età, così da costituire la prima causa di morte, sia nei maschi sia nelle femmine, nella fascia di età compresa tra 60 e i 79 anni. L’epidemia da Covid-19 ha prodotto un eccesso di mortalità soprattutto nella fascia di età 75 anni, ma gli effetti indiretti, soprattutto per mancate diagnosi e riduzione delle cure, potrebbero aver avuto un impatto anche sulla fascia di età 60-75 anni. I programmi di screening oncologici, rivolti a un quarto circa della popolazione, permettono di effettuare ogni anno in Italia più di 50mila diagnosi di lesioni tumorali precoci complessive (riguardanti il cancro del colon retto, il cancro della mammella e della cervice uterina), in questo modo permettendo interventi chirurgici meno invasivi e riducendo la mortalità. È ipotizzabile che nel 2020 il numero di tali diagnosi potrebbe rivelarsi pressoché dimezzato, rispetto all’anno precedente. Ciò significa che quei tumori non diagnosticati in fase precoce stanno progredendo».
Dunque, nel 2020 registriamo da un lato un calo di prevenzione efficace (basata sulle evidenze scientifiche), e dall’altro un dispiegamento straordinario di risorse per far fronte all’emergenza. Continuando a lungo su tale falsariga, potremmo maturare danni non solo verso la salute degli assistiti, ma anche indurre un’autentica involuzione culturale del Ssn».
«È importante, in primo luogo, rinsaldare la fiducia della popolazione nell’efficacia dei programmi di screening, con campagne mirate di comunicazione. La prevenzione e la diagnosi precoce costituiscono parti integranti del cancer care continuum. Idealmente, la riduzione del rischio cancerogeno, attraverso interventi di prevenzione primaria, volti a ridurre le esposizioni agli agenti cancerogeni, e la realizzazione di programmi di promozione della salute (sana alimentazione, cessazione dell’abitudine al fumo di tabacco, riduzione del consumo di alcol, incremento dell’attività fisica, mantenimento del peso forma) rappresentano gli strumenti migliori per ridurre l’incidenza e la mortalità tumorale. Tali programmi andrebbero pertanto integrati con gli screening oncologici, e disegnati sulla base delle esigenze specifiche di strati di popolazione a più alto rischio in modo sempre più personalizzato, nel corso del tempo vita. A tal fine bisognerebbe definire alcuni tasselli del continuum, tutt’ora carenti, quali la valutazione del rischio individuale, la personalizzazione dei percorsi di sorveglianza (sulla base della suscettibilità genetica individuale), la definizione di obiettivi personalizzati di prevenzione del rischio e/o delle recidive. Si tratta di un insieme di elementi che potrebbero sospingere in avanti la prevenzione oncologica, ancorandola ai PDTA, e coinvolgendo i MMG, i dipartimenti di prevenzione, i servizi di diagnostica per immagini, i laboratori di patologia clinica e di genetica e soprattutto le unità della rete oncologica, nel solco tracciato dal manifesto Cracking Cancer promosso dal Prof. Amunni».
«La speranza è che l’Italia possa mettersi alle spalle la prossima ondata con meno danni delle precedenti, non solo per quanto attiene alla salute della popolazione, ma anche per la qualità delle relazioni umane e sociali, e degli impegni politici e produttivi. La sfida è cogliere le potenzialità d’innovazione che la crisi attuale indubbiamente offre, senza sperperare il nostro patrimonio di civiltà e rinforzando semmai un tessuto solidaristico tra le generazioni e tra chi è più o meno provvisto di mezzi. C’è bisogno di forti investimenti sulla prevenzione delle malattie cronico-degenerative, avendo anche cura di puntare sullo sviluppo di partenariati pubblico-privato virtuosi, in tema di efficienza, efficacia ed ottimizzazione della spesa, sui temi più innovativi (penso in particolare allo sviluppo di percorsi di prevenzione diagnosi e cura sempre più personalizzati), che possono già fruire di un positivo trasferimento sul campo dei migliori risultati della scienza. L’occasione è da non sprecare, avendo ben chiari i valori fondamentali da preservare».
«I vaccini anti-Coviid più innovativi, quelli a mRNA sviluppati dalla Pfizer e da Moderna sono il frutto di tecnologie molto avanzate che lasciano intravedere un grande potenziale sull’evoluzione della medicina, in particolare nella cura dei tumori. Spetta agli enti regolatori autorizzarne la commercializzazione ed agli Stati stabilirne i programmi di utilizzo in sanità pubblica, definendo le modalità, le priorità e la tempistica. Tali decisioni si basano su procedure di valutazione dei costi e dei benefici e tengono conto del profilo di sicurezza, qualità ed efficacia del vaccino, quale emerge dai dati clinici prodotti nei trials randomizzati e controllati delle case farmaceutiche. A quanti vorranno aderire all’offerta vaccinale nei prossimi mesi è dovuta una completa informazione sia sull’efficacia sia sugli effetti avversi più comuni e meno comuni, ma talvolta più severi, che i trials clinici hanno fin qui evidenziato entro le 6 settimane post vaccinazione. È doveroso ricordare che ad oggi il profilo di sicurezza di questi vaccini sconta ancora una mancanza di dati specifici sulla salute riproduttiva e sullo sviluppo e dunque è lecita una particolare cautela nei confronti delle donne in gravidanza e della popolazione in età fertile».
«I medici metteranno sempre al primo posto la salute e la sicurezza dei loro assistiti, come hanno fatto in questi ultimi mesi. Il sindacato, al quale mi onoro di appartenere, è ben consapevole che la libertà e la dignità degli individui ed il bene della comunità sono valori che devono essere tenuti insieme, in ogni circostanza. Tenderei a fidarmi di chi studia, approfondisce le conoscenze e rispetta il codice deontologico, operando in scienza e coscienza».
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato