Salute 29 Settembre 2023 11:32

Gluten-sensitivity, in Italia autodiagnosi per il 12% della popolazione. E se dipendesse da come viene prodotto il grano?

Per la prima volta si sono riuniti intorno allo stesso tavolo, al Policlinico Universitario A. Gemelli IRCC,S clinici (gastroenterologi, allergologi, nutrizionisti), agrari e produttori per discutere delle possibili cause di questa epidemia di intolleranza al glutine. La “colpa” potrebbe essere dei ‘fattori anti-nutritivi’ contenuti del frumento. Allo studio una serie di possibili soluzioni

Gluten-sensitivity, in Italia autodiagnosi per il 12% della popolazione. E se dipendesse da come viene prodotto il grano?

Mangiare senza glutine è una moda o è questione di salute? La celiachia, che insorge in soggetti geneticamente predisposti, e l’allergia al frumento, che provoca una reazione immediata scatenata dalle IgE, colpiscono dall’1 al 5% della popolazione mondiale. Eppure, considerando l’esponenziale crescita del mercato dei prodotti “gluten-free” la diffusione di queste patologia sembrerebbe essere molto più ampia. Una spiegazione c’è: «È stimato che a livello globale non meno del 10-15% delle persone si auto-diagnostichi una “intolleranza al glutine” e quindi auto-escluda il glutine dalla propria dieta», spiega il professor Giovanni Cammarota, Direttore della Unità Operativa Complessa di Gastroenterologia presso la Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS e Associato di Gastroenterologia della Facoltà di Medicina dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, in un’intervista a Sanità Informazione.

In Italia il 12% si autodiagnostica la gluten-sensitivity

Questa tendenza riguarda soprattutto i millennial e la generazione Z (fino al 15% di autodiagnosi), mentre nei baby boomer il fenomeno si attesta al 4%. «La percentuale di diagnosi fai-da-te in Italia  è media del 12%», aggiunge Cammarota. Ma questa tendenza non è sinonimo di moda, piuttosto si tratta di una scelta mirata a preservare il proprio benessere: chi elimina il glutine dalla propria dieta, pur non avendo ricevuto alcuna diagnosi di patologia collegata all’assunzione di frumento, ne trae un reale beneficio. «In questi casi il paziente – spiega il professor Cammarota –  riferisce sintomi ben precisi, come dolori addominali, gonfiore, nausea, mal di testa, sensazione di stanchezza, disturbi dell’alvo. Sintomi che compaiono a seguito dell’ingestione di glutine e che, quindi, inducono il soggetto ad autodiagnosticarsi questa “intolleranza”».

Colpa della processazione del grano?

Una motivazione possibile di questo boom di intolleranza al glutine, cosiddetta gluten-sensitivity, potrebbe essere ricercata nel processo di industrializzazione della produzione del frumento. «Anche se i meccanismi che possono indurre sensibilità al glutine sono ben conosciuti – aggiunge il professor Cammarota -, va considerato che nel frumento sono contenute diverse proteine in grado di indurre una sensibilizzazione. Si tratta dei cosiddetti “fattori anti-nutrizionali” (ANF) del frumento, tra cui1 fitati, tannini, amylase/trypsin inhibitors (ATIs) e altri». Queste proteine, che in natura hanno la funzione di proteggere il frumento dai “nemici” esterni, possono rallentare la digestione delle proteine, dei carboidrati e delle molecole presenti nel frumento stesso, oltre che interferire con l’assorbimento di biomolecole (es. ferro e zinco), riducendone la biodisponibilità e innescare meccanismi infiammatori e di immunità innata nell’organismo.  “Effetti collaterali” che potrebbero essere risolti attraverso un processo di neutralizzare di questi anti-nutrizionali: «Prolungare ad esempio i tempi di fermentazione del frumento, a temperatura controllata è una delle soluzioni possibili», aggiunge il professore. In altre parole, sarebbe l’eccessiva domanda di mercato a compromettere la qualità della processazione del frumento.

Soluzioni possibili

«Sarebbe importante avere un dialogo continuo con la produzione – afferma il professor Cammarota – per cercare di variare la tipologia di frumento e di glutine e fare dei trial clinici controllati per capire se una certa lavorazione provochi o meno la comparsa dei sintomi.  Questa ondata di “sensibilità” però, come ricordato, potrebbe non essere imputabile alla genetica del frumento (non sarebbe cioè una questione di grani “antichi” o di grani “moderni”), quanto piuttosto alle moderne tecniche di produzione e di processamento. Interessante sarebbe anche andare a variare la tipologia del glutine all’interno del frumento, per individuare quello più immunogenico e in grado di stimolare la sensibilità. C’è insomma glutine e glutine, sia in termini di quantità che di qualità». Ed è proprio per puntare in questa direzione che, nei giorni scorsi, il mondo dell’agraria, della produzione, intesa come lavorazione e processazione industriale del frumento e quello della clinica, si sono riuniti al Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS in occasione dell’incontro “Il frumento. Produzione, preparazione e consumo consapevole per il benessere intestinale”. «È la prima volta che questi tre mondi – agraria, produzione e clinica – si sono confrontati in modo diretto. Si tratta di un evento importante che potrebbe segnare una svolta altrettanto importante per il trattamento della gluten-sensitivity», afferma Cammarota. In un futuro non troppo lontano, dunque, un paziente che riferisce un’intolleranza al glutine potrebbe essere guidato, grazie a questa collaborazione interdisciplinare, verso l’assunzione di un grano coltivato e prodotto diversamente da quello normalmente assunto e scoprire di non aver più nessuno di quei fastidiosi sintomi collegabili ad una intolleranza al glutine. «Ma questa – sottolinea Cammarota – è una prospettiva che riguarda esclusivamente la gluten-sensitivity. Per chi è affetto da celiachia resta l’indicazione di un’esclusione assoluta del glutine dalla propria dieta».

 

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