Lo studio incrociato a livello europeo. Vaccari (Fnopo): «Riposo, cura di sè e vicinanza agli affetti proteggono madre e bambino»
Meno stress, meno spostamenti, meno inquinamento, meno parti prematuri. Tra i tanti effetti che il lockdown della scorsa primavera ha avuto sulla vita delle persone, ce n’è uno che è stato senza dubbio positivo, e che da semplice dato epidemiologico è diventato via via una certezza, stando ad alcuni studi incrociati a livello europeo: nel mese di aprile 2020 i parti avvenuti prima della 37ma settimana sono calati del 90% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Identificare i fattori e prevenire le condizioni che possono causare un parto pre-termine e la conseguente necessità di intervenire sul neonato prematuro spesso con cure intensive (se la nascita avviene ancor prima di 37 settimane) è sempre stata una delle grandi sfide della ginecologia e dell’ostetricia. L’interessante dato raccolto durante il lockdown dagli studi condotti in Irlanda e in Danimarca, che hanno portato alle stesse conclusioni, può rappresentare un nuovo punto di partenza in tal senso. Ad oggi, le ipotesi più accreditate vertono sul fatto che un maggior riposo, meno viaggi da e per il posto di lavoro, e più aiuti in famiglia, abbiamo contribuito a ridurre l’incidenza di parti pretermine.
Ma potrebbero esserci stati altri fattori concomitanti che abbiano influito in ugual misura. Vediamo quali, insieme alla dottoressa Silvia Vaccari, ostetrica, vicepresidente Fnopo: «Sicuramente il riposo e la possibilità di prendersi maggiormente cura di sé entrando in sintonia col bambino nel proprio grembo, sono fattori protettivi rispetto al parto prematuro – esordisce la Vaccari ai nostri microfoni –. Non dimentichiamo che molti processi in ostetricia sono fortemente influenzati dalla componente olistica, dalla sfera emotiva e dal vissuto interiore della donna in gravidanza. I corsi pre-parto, non a caso, danno molto spazio alle tecniche per entrare in connessione profonda col proprio bambino. Nella mia esperienza, in alcuni casi questa forte sintonia e il timore del distacco ritarda addirittura il parto».
Viceversa, ci sono alcuni fattori nella vita di tutti i giorni che se da un lato allontanano la gestante dalla reale percezione del suo stato, dall’altro la mettono più a rischio di parti prematuri. «Prendiamo ad esempio la legge, molto contestata, che consente alle donne di lavorare fino all’ultimo giorno prima del parto, per poi usufruire di più congedo successivamente – puntualizza Vaccari – che è un esempio lampante di come al giorno d’oggi la gravidanza, pur non essendo assolutamente una malattia, non venga però vissuta come dovrebbe».
Nel lockdown invece, è successo proprio il contrario: «Più aiuto in casa, più vicinanza con gli altri membri della famiglia, più riposo, probabilmente più cibo e più sano (sicuramente più tempo per prepararlo e consumarlo con calma). Una serie di fattori – osserva Vaccari – che inevitabilmente riporta a tempi passati, al matriarcato, alla rete di supporto familiare che orbitava intorno alla gestante e che favoriva quei processi psico-emozionali che agivano in senso protettivo rispetto a madre e bambino.
Inoltre, durante il lockdown – prosegue la Vicepresidente Fnopo -, c’è stato un incremento della scelta, da parte delle donne, di partorire in casa, perché gli ospedali venivano visti da un lato come luogo di potenziale contagio, ma anche perché travaglio e parto, nella maggior parte dei casi, non sarebbero potuti avvenire con la presenza del compagno o di una persona scelta dalla gestante, nel rispetto delle normative anti-Covid. A dimostrazione ancora una volta – conclude – di quanto il contesto percepito dalla donna sia importante nel determinare le sorti di un processo fisiologico quale quello della nascita».
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