Si iniziano a fare le prime ipotesi su se, quando e come verrà abolito l’obbligo di Green Pass. Gli scienziati si dividono tra chi lo ritiene oggi uno strumento inutile e chi invece è convinto che serva ancora
Forse dopo il 31 marzo, quando scadrà lo stato d’emergenza, come ha detto il Sottosegretario alla Salute Andrea Costa. Oppure avremo a che fare con il Green Pass per tutto l’anno «o almeno fino a quando ci sarà la pandemia», come ipotizza a Sanità Informazione Walter Ricciardi, consulente del ministro della Salute, Roberto Speranza e professore di Igiene all’Università Cattolica di Roma. La verità è che al momento ci sono solo ipotesi e chiacchiere. Di certo infatti c’è che la Commissione Europea ha approvato di recente la proposta di «estendere di un anno» il Green Pass europeo, «fino al 30 giugno 2023». E che la sua abolizione sarà graduale e progressiva, in base all’andamento epidemiologico. «La cabina di regia, le istituzioni sanitarie e le parti politiche possono iniziare un dibattito su come procedere ad una modifica nell’uso del Green pass, ma deve essere un processo di concertazione all’insegna della gradualità», dice Pierpaolo Sileri, Sottosegretario alla Salute.
Anche tra gli scienziati c’è grande discordanza di pareri. «Il Green Pass – spiega Giovanni Maga, direttore dell’Istituto di genetica molecolare del CNR di Pavia – non è uno strumento direttamente legato allo stato d’emergenza. Serve innanzitutto a valutare e promuovere la copertura vaccinale della popolazione, avendo anche la possibilità di garantire che determinati ambienti abbiano un rischio di contagio molto basso. E questo lo si può avere solo se le persone hanno il requisito dell’immunità. Quindi credo che il Green Pass debba rimanere». E aggiunge: «Il 31 marzo il virus non scomparirà ci saranno ancora contagi. Se togliere il Green Pass significa avere un aumentato rischio di esposizione al virus, perché ad esempio le persone saranno meno attente o perché non si potranno creare ambienti sicuri, allora potrebbe succedere che a settembre ci troveremo con un’ondata di contagi superiore».
Non è affatto d’accordo Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova, convinto che il Green Pass abbia esaurito il suo compito di strumento per far vaccinare gli italiani. «Mantenerlo oltre il 31 marzo – spiega – non porterà a far immunizzare di più di quanto fatto fino ad oggi, c’è infatti uno zoccolo duro che non si convince. Rimane uno strumento politico e se il Governo riterrà opportuno estenderlo oltre il 31 marzo sarà solo una decisione politica e non sanitaria».
Sulla stessa lunghezza d’onda Massimo Andreoni, primario di infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma e direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit). «Il Green pass sta esaurendo – dice – il suo scopo principale: spingere i dubbiosi a vaccinarsi, soprattutto gli over 50. E c’è riuscito. Ma prolungarlo con l’idea che possa spingere anche altre fasce d’età la vedo dura. Inoltre, se si vuole dare un segno di ritorno alla normalità e se abbiamo scelto la strada delle riduzione graduale delle misure, ad esempio lo stop alle mascherine all’aperto, sinceramente mantenere l’obbligo del Green Pass oltre il 31 marzo, quando dovrebbe scadere lo stato di emergenza, mi pare davvero anacronistico».
Più prudente la posizione del virologo Francesco Menichetti, già primario di Malattie infettive all’ospedale di Pisa. «Sull’abolizione del Green pass sarei prudente perché vorrei essere certo che con la primavera-estate non ci siano riaccensioni del contagio, varianti o altre problematiche, quindi io rimanderei la decisione sull’abolizione all’autunno o almeno ai primi di giugno», dice. E specifica: «Se all’inizio dell’estate, ai primi di giugno, le condizioni italiane e generali della pandemia saranno estremamente favorevoli, allora possiamo decidere se mantenere o abolire il Green Pass. Ma lo dobbiamo fare rigorosamente alla luce dei dati epidemiologici. Dobbiamo trovare un punto di equilibrio tra la sicurezza e la libertà. Fosse per me il Green Pass non lo toglierei, ma se ci sono pressioni per toglierlo almeno andiamo a fare verifiche che siano sostenute dagli indicatori epidemiologici».
Il direttore del reparto di Malattie Infettive dell’ospedale Sacco di Milano, Massimo Galli, considera l’abolizione del Green Pass addirittura «peggio del condono fiscale». E spiega: «Se si fanno scelte di tipo tecnico, ritengo sia corretto mantenere quanto è stato organizzato faticosamente nel tempo. La differenza è tra valutazioni generali e scelte di questo o quel politico che vuole portare qualche piccolo vantaggio a casa. È un po’ la storia di tutti quelli che pagano le tasse puntualmente e poi si ritrovano un condono fiscale. Qui è un po’ peggio, è un condono che pesa sulla salute degli altri. E la salute è una cosa seria, va rispettata».
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