«Le novità ci sono, il mercato e l’industria spingono in questa direzione e le soluzioni non mancano. Manca, ancora, un collegamento più diretto e concreto con le modalità con cui questa innovazione deve essere resa disponibile» così il Presidente AIIC Lorenzo Leogrande
Coniugare innovazione e sostenibilità in ambito sanitario è possibile. Ne sono convinti gli studenti universitari italiani che scelgono sempre di più corsi di studio in Ingegneria Clinica, con un occhio alla cura della salute e l’altro all’uso appropriato e sicuro delle nuove tecnologie.
Di progresso, tecnologie e accessibilità in sanità si è parlato a Roma all’Healthcare Summit, organizzato da 24 ORE Business School. All’evento è intervenuto anche Lorenzo Leogrande, Presidente dell’Associazione Italiana Ingegneri Clinici (AIIC) che, ai microfoni di Sanità Informazione, ha evidenziato il ruolo dell’ingegnere clinico e analizzato il tema dell’innovazione in sanità tra luci e ombre.
Il ruolo degli ingegneri clinici è fondamentale: tra l’altro, è diventata una delle lauree che sta riscuotendo grande successo…
«Assolutamente sì; piace molto l’idea di essere ingegneri, quindi molto vicini all’innovazione, ma anche sentirsi un po’ “medici”, con le dovute differenze. Tutto ciò che ha a che fare con la cura dei pazienti, è evidentemente, un tema di grande interesse per i giovani».
Cosa manca ancora al “sistema Italia” per fare progressi ulteriori sul tema dell’innovazione?
«L’innovazione c’è, è disponibile, il mercato e l’industria stanno spingendo tantissimo e le soluzioni non mancano. Manca, dal mio punto di vista, un collegamento più diretto e concreto con le modalità con cui questa innovazione deve essere resa disponibile. Ben vengano le politiche a livello di sistema e di indirizzo, ma bisogna far sì che questa innovazione rappresenti un’esperienza di successo e sia implementata correttamente. È vero che l’innovazione pone delle nuove soluzioni ma è anche vero che le nuove tecnologie creano problemi che vanno affrontati».
Abbiamo intervistato da poco un giurista che si interrogava sulla responsabilità medica di un robot chirurgo e quindi sulla necessità di provvedere anche alle assicurazioni che coprano l’errore medico fatto da un robot. Lei cosa ne pensa?
«Assolutamente sì, è un tema che si porrà sempre di più in futuro. Oggi il robot è comandato dal chirurgo, esegue di fatto l’atto chirurgico per conto del medico. In futuro, è molto probabile che alcuni atti e alcune azioni possano essere intraprese in autonomia dal robot: la tecnologia va in quella direzione. E allora, da quel punto di vista, si apre uno scenario di natura legale che va affrontato anche per tutelare il paziente».