Nonostante siano più esposte all’infezione e la medicina di genere indichi che le caratteristiche sesso-specifiche giochino un ruolo importante nella gestione della patologia, le donne sono ancora sottorappresentate negli studi clinici sull’HIV. Tuttavia, negli ultimi anni, si stanno conducendo analisi e indagini specifiche sulla popolazione femminile, che confermano l’efficacia terapeutica della combinazione bictegravir/emtricitabina/tenofovir alafenamide (B/F/TAF) in tutte le fasce di età della vita di una donna
“Di fronte all’HIV le donne sono più fragili sotto diversi punti di vista: dal punto di vista immunitario, perché si infettano più facilmente e, in assenza di trattamenti, hanno un maggior rischio di andare incontro all’AIDS; dal punto di vista sociale, perché lo stigma nei confronti di una donna HIV positiva è maggiore, anche in Italia e non solo nei Paesi a basso reddito. Per questo è importante che la salute delle donne HIV+ venga adeguatamente monitorata e preservata”. A rivolgere questo appello, in occasione della Giornata Nazionale della Salute della Donna – che si celebra oggi, lunedì 22 aprile – è Annamaria Cattelan, Direttore dell’Unità operativa di Malattie Infettive dell’azienda ospedaliera di Padova.
Eppure in tutti gli studi clinici le donne sono ancora sottorappresentate. Non fanno eccezione i trial che testano l’efficacia delle terapie antiretrovirali contro l’HIV, nonostante la medicina di genere abbia indicato che studiare l’azione delle terapie sull’organismo femminile sia di estrema importanza.
Nel 2022, in Italia, sono state effettuate 1.888 nuove diagnosi di infezione da HIV, di queste 402 erano donne (21,3%): 116 avevano un’età uguale o maggiore a 50 anni, 209 avevano tra 30 e 49 anni, e 71 fra 20 e 29 anni. Continua ad aumentare la quota di donne che arrivano tardi alla diagnosi (circa 60%) e aumenta l’età mediana a cui ci si arriva (36 anni nel 2012 vs 41 anni nel 2022) . Un dato da non sottovalutare dal momento che nella popolazione femminile l’infezione porta a un’accelerazione dell’invecchiamento che espone a un rischio aumentato di fratture e di indebolimento della muscolatura.
“L’infezione da HIV è responsabile di un’accelerazione del processo di aging legato allo stato infiammatorio cronico sia nell’uomo sia nella donna, ma con accenti diversi. Per esempio, abbiamo una prevalenza di infarto del miocardio più alta tra le donne HIV+ non solo rispetto alle donne HIV negative, ma anche agli uomini HIV+. Poi ci sono dati che mostrano un’attivazione del sistema immunitario estremamente più elevata nelle donne con HIV rispetto agli uomini. Nelle donne riscontriamo maggior deterioramento cognitivo, depressione, ansia, disturbi da stress post-traumatico, condizioni che a loro volta sono influenzate e peggiorate da altri cofattori quali l’abuso di alcol, sostanze stupefacenti o l’utilizzo di farmaci psichiatrici”, osserva ancora Annamaria Cattelan. “Particolare attenzione va data infine alla salute delle ossa, che già dopo la menopausa è messa a repentaglio e che l’azione di alcuni farmaci può peggiorare”.
Sebbene nel campione analizzato nei trial registrativi sia presente in media solo il 20% di donne, negli ultimi anni si stanno conducendo analisi e indagini specifiche sulla popolazione femminile.
Una review di alcuni studi di fase III, per esempio, ha analizzato la combinazione bictegravir/emtricitabina/tenofovir alafenamide (B/F/TAF) nella sottopopolazione femminile coinvolta nei trial, confermandone tollerabilità ed efficacia in tutte le fasce d’età (bambine/adolescenti/adulte/anziane); non si sono registrati casi di resistenza emergente e c’è stato un basso tasso di interruzione.
Uno studio retrospettivo italiano di real life, condotto a 48 settimane dall’inizio del trattamento con la combinazione B/F/TAF, in cui sono stati raccolti dati relativi ai parametri viro-immunologici e metabolici, ha mostrato un aumento significativo del rapporto CD4/CD8.
A ulteriore conferma dell’efficacia nelle donne, ci sono poi i risultati di un vasto studio di real life che mettono in evidenza come anche lo switch di terapia a favore di B/F/TAF induca un miglioramento marcato dello stato immunitario nelle donne e nelle persone ultrasessantenni dopo 48 o 96 settimane di trattamento.
“E poi c’è un aspetto estremamente importante – conclude Cattelan – bictegravir ha dimostrato di essere un’opzione terapeutica anche nelle donne in gravidanza. Tanto che le Linee Guida DHHS americane hanno aggiunto a gennaio 2024 uno statement in cui si afferma che bictebgravir può essere assunto in gravidanza non essendo associato ad aumentati rischi di anomalie congenite e senza necessità di aggiustamento di dosaggio”