Ne soffre il 95% dei manager. Lo psicoterapeuta: «La perdita di sonno, la mancanza di concentrazione e la costante sensazione che il tempo non sia mai abbastanza ci segnalano che qualcosa non va»
C’è chi prima di addormentarsi ha già pianificato tutti gli impegni del giorno seguente e, nel progettarli, percepisce pure la fretta di doverli portare a termine. Una sensazione di urgenza che di notte può togliere il sonno e di giorno provocare nervosismo, ansia e stress. Uno stato di irrequietezza che i cardiologi Meyer Friedman e Ray Rosenman hanno definito “hurry sickness”, letteralmente “malattia della fretta” (il termine è stato utilizzato per la prima volta nel libro “Type A Behavior And Your Heart”).
Secondo gli specialisti si tratta di “un tentativo continuo e incessante di ottenere sempre più cose o partecipare ad un numero sempre più numeroso di eventi, nel minor tempo possibile”. Obiettivi quotidiani che indurrebbero a pensare, parlare ed agire velocemente.
Ma vivere tenendo tutto il giorno il piede premuto sull’acceleratore è patologico? «In sé l’hurry sickness non può essere definita una malattia – risponde Morris Orakian, psicologo e psicoterapeuta dell’Ordine degli Psicologi del Lazio -. Tuttavia, può essere correlata a possibili disturbi sottesi, appartenenti alla sfera psicologica o dell’umore. In casi più estremi, poi, può trasformarsi in una condotta patologica».
Il professor Richard Jolly della London Business School ha studiato il fenomeno scoprendo che i manager sono tra le categorie più colpite: il 95% soffre di questa condizione. «Partendo dal presupposto che ogni essere umano si adatta al contesto socio-culturale in cui vive, è inevitabile che in occidente, dove il miglioramento della performance sia lavorativa che sociale è all’ordine del giorno, siamo tutti più a rischio di “mal di fretta”», dice lo specialista.
L’essere multitasking è, di solito, il tratto distintivo dei soggetti affetti da hurry sickness: per loro è inconcepibile dover concentrarsi, anche solo per una volta, su un unico compito. E così, anche nei momenti di relax, provvederanno ad occuparsi di più faccende contemporaneamente.
Ma attenzione: «L’essere multitasking è solo un’illusione, un falso mito da sfatare – assicura lo psicoterapeuta -. La nostra mente è in grado di fare una cosa alla volta. Tanto che, compiendo più azioni contemporaneamente, a nessuna verrà dedicata la massima attenzione. Performance, efficacia ed efficienza aumenteranno al diminuire degli impegni simultanei».
Al di là della qualità dei risultati raggiunti, sono gli effetti collaterali nocivi sul benessere individuale a doverci mettere in allarme. «La perdita di sonno, la mancanza di concentrazione, la costante sensazione che il tempo non sia mai abbastanza, il dover continuamente rincorrere qualcosa, sono tutti segnali che il nostro corpo emette per comunicarci che qualcosa non va. Lo stress, soprattutto se cronico, può indebolire il nostro sistema immunitario e interferire sui livelli di energia, sulle prestazioni lavorative e sull’umore», spiega Morris Orakian.
Ma tenere sotto controllo il proprio “mal di fretta” è possibile. «Consiglio di sottoporsi ad una sorta di auto-checkup quotidiano o settimanale, attribuendo un paramento di valutazione (ad esempio da 0 a 10) alla sensazione di “non avere tempo da perdere in quella giornata che sta per iniziare”. Una descrizione quindi della propria percezione, dove lo zero sta per “nessun tempo” mentre il dieci per “tutto il tempo”. Questo esercizio poi andrebbe ripetuto all’inizio del pomeriggio. In questo modo, sarà più facile rendersi conto se i ritmi accelerati delle giornate stiano compromettendo lo stato di salute o se appaiono funzionali al proprio modo di essere».
«Se ci si accorge di aver aumentato troppo il passo sarà meglio rallentarlo: abbassare i ritmi non significa cancellare degli impegni o rinunciare a qualche obiettivo prefissato. Semplicemente, ci si dovrebbe concedere un tempo più lungo, anche di pochi minuti per cominciare, per portare a termine il proprio programma. È quello che chiamiamo “un piccolo disordine nell’ordine”. Quando la situazione apparirà troppo fuori dal nostro controllo, allora – conclude lo psicoterapeuta – sarà meglio rivolgersi ad uno specialista».
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