Le cause secondo la psicologa: «Equilibri familiari saltati, esposizione costante al cibo, instabilità continua tra chiusure e riaperture. La DAD? Un trigger pericoloso per i soggetti a rischio»
La pandemia ha generato, tra i tanti altri danni “collaterali”, un aumento dell’incidenza fino al 30% e una precocità di insorgenza dei disturbi del comportamento alimentare quali anoressia nervosa e bulimia, soprattutto tra gli adolescenti e i pre-adolescenti (dai 9 ai 15 anni). Si tratta di disturbi che costituiscono due lati della stessa medaglia, con i medesimi fattori predisponenti, acuiti dalle attuali condizioni psicosociali. Abbiamo analizzato il fenomeno insieme alla psicologa Paola Medde, coordinatrice del Gruppo di Lavoro Psicologia e Alimentazione presso l’Ordine degli Psicologi del Lazio.
«Sicuramente la pandemia ha aumentato il livello di complessità del vivere quotidiano, togliendo ai giovanissimi gran parte delle loro “reti di supporto”, tra cui la socialità – spiega la psicologa -. In particolare per chi già covava un rapporto complesso con l’alimentazione, l’aggravante è stato il venir meno della possibilità di fare attività sportiva per lunghi periodi di tempo, perché l’attività sportiva è uno strumento che permette, a chi ha un rapporto complesso con il proprio peso e la propria immagine corporea, di contenere e controllare questo tipo di ansia».
«Per contro, durante la pandemia c’è stata una continua esposizione al cibo e questo, associato al venir meno dei meccanismi di controllo, ha in molti casi slatentizzato un disturbo alimentare già presente. Se consideriamo anche la carenza di molti servizi sanitari deputati alla presa in carico di questi disturbi – prosegue – è chiaro che questi si siano esacerbati».
«Contemporaneamente molte situazioni conflittuali nelle famiglie si sono amplificate, con crisi di coppia, depressioni dovute alla perdita del lavoro, interi equilibri saltati ad assistere ai quali ci sono stati, ovviamente, i figli. Questo, nei ragazzi più fragili o che hanno più difficoltà a gestire le loro emozioni e a comunicarle, ha avuto un impatto devastante».
«Al contrario di quanto si potrebbe credere – osserva Medde – le riaperture non hanno costituito fonte di giovamento per i ragazzi alle prese con questi disturbi. Perché, per fare un esempio, con le riaperture delle scuole molti di loro non hanno trovato gli stessi compagni, magari a causa di un turno diverso. E noi sappiamo bene quanto poter contare sui propri punti fermi, anche a livello di socialità, sia importante per gli adolescenti in difficoltà. Questo dover fare i conti con una realtà diversa rispetto alla propria “comfort zone” – precisa la psicologa – ha fatto, in questo senso, anche più danni dell’isolamento».
Un altro fattore che caratterizza in generale le persone affette da disturbi alimentari è una continua ansia da prestazione, perfezionismo, mancanza di accettazione delle “sfumature” e di conseguenza la percezione di fallimento che accompagna qualsiasi risultato si discosti da un ideale. «La DAD è stata un trigger micidiale per tutti questi aspetti – sostiene la psicologa -. La performance scolastica asettica, non mediata dal rapporto reale, unita alla fretta dei docenti di portare a termine i programmi ministeriali, ha contribuito ad aumentare un disagio espresso, appunto, con l’anoressia nervosa in cui il soggetto ha la sensazione di raggiungere un risultato considerato “vincente” attraverso il controllo estremo del proprio peso».
La chiave per gestire in modo corretto un disturbo del comportamento alimentare è, indipendentemente dal contesto sociosanitario in cui siamo calati, saperlo intercettare precocemente, quando è ancora latente. Come? Attraverso una serie di segnali.
«Vero è – osserva Medde – che nella stragrande maggioranza dei casi, quando i segnali sono evidenti, come un drastico calo ponderale, il disturbo è già esploso. Proprio per questo, è fondamentale che i genitori prestino attenzione ad alcuni “segni prodromici” nei figli, che possono essere l’improvviso disinteresse nei confronti del piatto preferito, il fare riferimento al proprio corpo come qualcosa di non accettato, il continuo guardarsi allo specchio, usare abiti particolarmente larghi, cambiamenti nel tono dell’umore (tristezza o irascibilità)».
«Il disturbo del comportamento alimentare non nasce mai dal nulla – conclude la psicologa – ma affonda le sue radici in una bassa autostima dovuta spesso a contesti familiari che non incoraggiano la comunicazione empatica e al tempo stesso spingono fortemente al raggiungimento di obiettivi di eccellenza scolastica. Per questo instaurare un dialogo efficace con i propri ragazzi è fondamentale, sin dall’infanzia».
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