Prati (Policlinico Milano): «Questo meccanismo può essere legato ad una maggiore tendenza alla trombosi nei soggetti con gruppo sanguigno A». Bonfanti (Uni Bicocca): «Scoperta preliminare, seguiranno altri studi»
Il gruppo sanguigno A aumenta la probabilità di avere sintomi più gravi da coronavirus. La conferma arriva attraverso uno studio internazionale pubblicato sul New England Journal of Medicine che ha visto la partecipazione di tre ospedali italiani: Policlinico di Milano, San Gerardo di Monza, Humanitas e dell’Università Bicocca.
«Questa scoperta è per ora preliminare – ammette Paolo Bonfanti, professore associato di Malattie infettive presso l’Università Bicocca di Milano -: è allo studio il motivo per cui un paziente che ha un gruppo sanguigno di un certo tipo rischia di sviluppare la malattia in modo più grave, e altri ne seguiranno. È emerso dall’analisi genetica fatta su campioni biologici – aggiunge il docente universitario – che proprio chi appartiene al gruppo sanguigno di tipo A rischia di sviluppare una malattia più grave rispetto agli altri».
Diversa la sorte per i pazienti con il gruppo O che sembrano essere i più protetti. Un dato interessante da approfondire, ma non l’unico: la ricerca effettuata su un campione di 1610 pazienti, tra italiani e spagnoli con insufficienza respiratoria, ha messo in luce un altro importante tassello verso la comprensione dei meccanismi patogenetici della malattia, come conferma il dottor Daniele Prati, direttore del Centro Trasfusionale del Policlinico di Milano.
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«Sono stati analizzati circa otto milioni di piccoli frammenti di sequenza di acido nucleico ed è emerso che uno dei due cluster di geni è più chiaramente associato ad un andamento aggressivo del Covid – spiega Prati -. Una delle ipotesi più accreditate è che questo meccanismo possa essere in qualche maniera legato ad una maggiore tendenza alla trombosi che si verifica nei soggetti di gruppo A rispetto a quelli di gruppo 0, perché i soggetti di gruppo A portano con sé un maggior numero di molecole che promuovono l’aggregazione delle piastrine e quindi i fenomeni trombotici. Questa è una delle ipotesi più accreditate, ma ce ne sono altre che hanno sempre come punto di riferimento il gruppo sanguigno e i globuli rossi correlati».
«È fondamentale – continua Prati – che questo studio ci abbia confermato quello che tutti supponevamo, ma che non era stato ancora provato, ovvero che, almeno in parte, l’andamento di questa malattia è legato a fattori ereditari. Conoscendo bene i fattori genetici, sapendo quali sono le molecole implicate, sarà possibile cercare di andare ad interferire con un meccanismo genetico della malattia e trovare approcci terapeutici adatti e razionali. In realtà – aggiunge – il gruppo sanguigno fa notizia perché tutti conoscono l’ABO, ma non è il cluster di geni più fortemente associato, ce n’è un altro che è un cluster legato ad alcuni recettori particolari a livello cellulare che è interessante perché potrebbe essere quello che promuove la migrazione a livello polmonare dei globuli bianchi e dei linfociti promuovendo quello stato di iper infiammazione che si sviluppa prima a livello polmonare e poi si diffonde in tutto l’organismo».
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