Due i livelli di felicità: un primo collegato ad una propria realizzazione personale, di tipo cognitivo ed un altro che, invece, deriva da un piacere improvviso, momentaneo, fisico o psicologico, “edonico”. «In America, contro le forme di depressione farmaco resistenti si utilizza la Stimolazione Magnetica Transcranica ripetitiva – spiega la neurologa – Applicata sulle zone anteriori del lobo frontale di sinistra del cervello, quelle che si attivano quando siamo felici, migliora il tono dell’umore»
C’è chi sente il cuore in gola e chi ha lo sguardo illuminato da un luccichio improvviso. Qualcuno non riesce a smettere di sorridere, altri sentono le farfalle nello stomaco. Sintomi diversi di una stessa emozione: la felicità. Ma cosa accade al nostro cervello quando siamo felici?
«Alcune aree dell’emisfero sinistro (ma anche del destro) del nostro cervello si attivano, presentando un maggiore afflusso di sangue e un aumento del metabolismo. A livello ormonale aumenta la produzione di serotonina e ossitocina». A rispondere è Costanza Papagno, neurologa della Società Italiana di Neurologia (Sin), professore ordinario di psicobiologia e dirigente del Cerin, un centro di riabilitazione cognitiva.
In occasione della Giornata internazionale della Felicità, che si celebra in tutto il mondo il 20 marzo, la professoressa Papagno svela i risultati dei principali studi che hanno analizzato le reazioni del cervello umano di fronte a situazioni ed avvenimenti piacevoli. È stata l’Assemblea generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite ad istituire, nel 2012, questa Giornata mondiale ritenendo che “la ricerca della felicità sia uno scopo fondamentale dell’umanità”.
«Innanzitutto – dice la neurologa – per spiegare cosa accade nel nostro cervello quando siamo felici è necessario distinguere due livelli di felicità. Un primo collegato ad una propria realizzazione personale, di tipo cognitivo ed un altro che, invece, deriva da un piacere improvviso, momentaneo, fisico o psicologico, “edonico”. Gli studi relativi alle basi neurali hanno indagato più che altro quest’ultimo tipo di felicità».
Le ricerche sul tema sono numerose, ma tutte si scontrano con il medesimo limite: «Tutto ciò che viene riprodotto in laboratorio è artificiale – spiega Papagno -. Di conseguenza è molto difficile stabilire con precisione cosa possa accadere al nostro cervello in un momento di felicità durante la vita di tutti i giorni. I soggetti analizzati vengono esposti a situazioni programmate e non spontanee, come ricordi di momenti passati, immagini piacevoli, spezzoni di film comici».
Per superare, almeno in parte questi limiti, alcuni studiosi hanno compiuto un’analisi inversa, esaminando le attivazioni cerebrali di coloro che, a causa di danni cerebrali, non riescono a provare questa emozione positiva. «Si tratta di quei pazienti che, presentando una lesione della regione anteriore frontale, la regione prefrontale sinistra, sono soggetti a depressione con reazioni “catastrofiche”, cosiddette proprio perché si manifestano in modalità particolarmente clamorose. Questo – aggiunge la professoressa di psicobiologia – fa presupporre che qualcosa nell’emisfero sinistro sia connesso con le sensazioni di felicità».
Una scoperta non di poco conto se si considera che negli Stati Uniti proprio queste osservazioni hanno permesso di mettere a punto degli interventi terapeutici per le forme di depressione farmaco resistenti: «Si chiama Stimolazione Magnetica Transcranica ripetitiva (rTMS, una tecnica non invasiva di stimolazione elettromagnetica del tessuto cerebrale, ndr.) e se applicata sulle zone anteriori del lobo frontale di sinistra del cervello migliora il tono dell’umore. Questo trattamento è stato ufficialmente approvato in America: ripetuto per un paio di settimane per pochi minuti, con cadenza quotidiana, pare abbia un’efficacia piuttosto duratura nel tempo sulla depressione».
Molto più difficile analizzare cosa accade nel nostro cervello quando la felicità provata deriva da una realizzazione di sé e dei propri progetti ed è quindi un’emozione più stabile e duratura. «Alcuni studiosi – commenta Papagno – hanno provato ad indagare questo tipo di felicità analizzando le reazioni di alcuni attori a cui è stato chiesto di immedesimarsi in personaggi con una storia di vita particolarmente positiva. Ma anche qui ci si scontra con i medesimi limiti della riproduzione artificiale di laboratorio».
Barriere che comunque non impediscono agli scienziati di continuare a scrutare le parti inesplorate del cervello umano per svelarne i misteri. Ma perché è così importante studiare la felicità? «Conducendo degli esperimenti con registrazioni elettroncefalografiche e verificando gli esatti circuiti cerebrali che si attivano in un soggetto felice – spiega la neurologa – potremmo stimolare con altrettanta precisione queste zone ed ottenere risultati più certi e sicuri per la cura di alcune patologie, come la depressione». E in un futuro queste stimolazioni potrebbero addirittura sostituire i farmaci? «Può darsi – risponde l’esperta -. Anche se mi sembra una prospettiva piuttosto lontana». Ma quando si tratta di scienza tutto può succedere: «Quando furono fatte le prime scoperte di genetica nessuno avrebbe mai potuto immaginare un progresso così rapido. Ed invece – conclude la professoressa Papagno – è accaduto».