«I casi di oggi riflesso di quello che è stato l’utilizzo dell’amianto 30-40 anni fa», spiega Carolina Mensi, Biologa e responsabile del Cor Lombardia. Giovanni Ceresoli responsabile dell’Oncologia medica dell’ospedale Humanitas Gavazzeni di Bergamo, spiega le nuove frontiere della ricerca: «Immunoterapia e inibizione dell’angiogenesi i campi su cui si sta lavorando»
Alla vigilia della giornata mondiale in ricordo delle vittime dell’amianto, in calendario il 28 aprile, i riflettori si accendono sul killer silente che negli ultimi decenni ha fatto migliaia di vittime. Solo nel 2017 sono stati oltre 6mila i decessi riconducibili a patologie legate all’amianto. Un dramma che all’unità operativa complessa della Medicina del Lavoro del Policlinico di Milano, si studia per comprenderne l’incidenza in Lombardia dove si evidenziano un quarto dei casi italiani il cui picco è previsto proprio tra il 2019 ed il 2020.
«I nostri dati sperimentali ci hanno permesso di determinare il picco previsto in questi anni – spiega Carolina Mensi, Biologa e responsabile del Cor (Centro Operativo Regionale) Lombardia – Per altro è una stima che concorda con i dati di ricercatori internazionali. A seguire si evidenzierà una lenta decrescita di casi di mesotelioma. Questo perché i casi che vediamo oggi sono il riflesso di quello che è stato l’utilizzo dell’amianto circa 30, 40 anni fa. Pertanto, stiamo pagando oggi lo scotto a livello di impatto sulla salute di un utilizzo pregresso».
Facciamo un’analisi di questi dati…
«Noi raccogliamo tutti i dati relativi ai casi di mesotelioma nelle diverse sedi: pleura, peritoneo, pericardio, e della tunica vaginale del testicolo che sono residenti nella nostra regione al momento della diagnosi. È una malattia tipicamente maschile perché è il riflesso di quanto utilizzato e respirato in ambito lavorativo. In Lombardia abbiamo molti casi in edilizia, nelle lavorazioni di metalli perché l’amianto aveva caratteristiche di essere un ignifugo, un isolante termico, e poi capacità insonorizzanti. È una patologia che colpisce in età avanzata, intorno ai 70 anni. Per il genere femminile si evidenzia una quota inferiore di casi, ma comunque elevata rispetto ad altri paesi europei. In Italia ci sono donne ammalate perché sono state impiegate in settori lavorativi dove l’amianto era utilizzato. Uno per tutti in Lombardia è stato evidenziato un rischio in precedenza non conosciuto nel settore tessile. Filatura e tessitura, lana, cotone e seta dove l’amianto era utilizzato come insonorizzante o nei sistemi frenanti. L’ultima monografia del 2012 stabilisce che l’amianto è correlato al mesotelioma, al tumore del polmone, della laringe e nella donna al tumore dell’ovaio. Il tumore al polmone è molto importante numericamente in Italia ed in Lombardia: 7200 casi nel 2017 solo in Lombardia. Esistono degli studi fatti anche dalla nostra clinica che stimano una quota pari al 18 per cento del totale dei casi di tumore al polmone, riconducibile proprio all’esposizione da amianto. Questo significa che circa 1300 casi di tumore del polmone potremmo ricondurli all’esposizione all’amianto».
Questo registro permetterà oltre che di monitorare anche di fare prevenzione?
«Ci permette da un punto di vista sanitario di essere pronti a curare questi pazienti e ad organizzare la rete di welfare per seguire i pazienti su ciò che sono i loro diritti. L’altro aspetto importante è avere informazioni su alcune aziende e alcuni settori lavorativi che ci consente di individuare i soggetti che hanno avuto l’esposizione nel passato ed avviarli a quella che si chiama sorveglianza sanitaria per gli ex esposti».
LEGGI ANCHE: LE SOSTANZE PIU’ PERICOLOSE PER LA SALUTE SUI LUOGHI DI LAVORO
CONSIGLI PER EX ESPOSTI: UNA SORVEGLIANZA SANITARIA PER ESENZIONI E RICERCA
Lavoratori ed ex lavoratori a contatto con l’amianto, devono pertanto rivolgersi alle Ats e di conseguenza entrare a far parte del protocollo di sorveglianza sanitaria degli ex esposti:
«Oggi ci si imbatte ancora nelle strutture con amianto – sottolinea il dottor Aldo Todaro medico del Lavoro del Policlinico di Milano – nell’edilizia. Qui ci sono indicazioni chiare per le aziende che devono trasferire ai lavoratori, secondo cui se si imbattono nell’amianto devono immediatamente bloccare ogni attività ed attivare il protocollo per eseguire tutte le bonifiche e le precauzioni del caso».
«Regione Lombardia ha previsto che comunque persone che sono state esposte all’amianto possano farsi riconoscere queste attività nelle Ats di competenza delle aziende dove avevano lavorato. Le Ats rilasciano una dichiarazione come ex esposti con cui possono poi rivolgersi alla medicina preventiva del lavoro, richiedendo una visita e gli accertamenti del caso. Questo dà diritto ad una visita con esenzione del pagamento del ticket».
«Una volta giunti al centro di medicina del lavoro, sono sottoposti ad una prima valutazione, si raccoglie la storia clinica, si quantifica l’esposizione e poi si sottopongono ad una serie di accertamenti clinici quali la radiografia al torace, la spirometria, eventualmente la tac che permetta di evidenziare se ci sono delle patologie presenti».
DALLA IMMUNOTERAPIA FINO ALLA TECNOLOGIA, LA RICERCA AVANZA PER BATTERE IL MESOTELIOMA
Con una sopravvivenza media di 18 mesi, oggi il mesotelioma è una delle forme di tumore più aggressivo e difficile da trattare. Dall’epitelioma, al sarcomatoide fino al bifasico, sono molte le variabili con cui si presenta. La speranza è dunque legata alla ricerca che oggi sta esplorando nuove terapie dalla immunoterapia fino all’impiego di device abbinati alla chemioterapia a cui il mondo scientifico guarda con interesse, come spiega il Dottor Giovanni Ceresoli responsabile dell’Oncologia medica dell’ospedale Humanitas Gavazzeni di Bergamo.
«I campi fondamentali in cui la ricerca sta lavorando sono quelli dell’immunoterapia e quindi della stimolazione del sistema immunitario che in altri tumori hanno veramente cambiato la pratica del trattamento. Nel mesotelioma, purtroppo, l’immunoterapia per come è praticata, per i farmaci che attualmente abbiamo, ha un’efficacia limitata perché la malattia ha una biologia particolare con un microambiente, un insieme di cellule che circondano il tumore che ha un grado di resistenza elevato all’immunoterapia. Probabilmente occorrerà tempo per trovare nuovi farmaci che vadano su tutte le componenti del sistema immunitario, anche su quelle che determinano resistenza. Un altro settore della ricerca è quella della inibizione dell’angiogenesi, ovvero del blocco della formazione di nuovi vasi sanguigni delle cellule tumorali, questo tipo di approccio si è dimostrato non efficace in associazione alla chemioterapia nella prima linea di trattamento, Sono tuttora oggetto di studio nella seconda linea con farmaci inibitori dell’angiogenesi. Altri campi di studio come l’inibizione di una proteina chiamata mesotelina che aveva suscitato inizialmente delle aspettative interessanti si sono rivelati non efficaci. Questa è una malattia sostanzialmente orfana, quindi aperta a vari tipi di sperimentazioni anche innovative, come ad esempio una sperimentazione che usa con la chemioterapia metodiche non farmacologiche, dei device che producono dei campi elettrici a bassa intensità c’è uno studio recente interessante e promettente che sembra dimostrare un potenziamento della chemioterapia con questo device e vale la pena continuare».
Esiste una predisposizione genetica verso la malattia?
«C’è un settore della ricerca che sta indagando in questi aspetti. Esistono delle mutazioni a livello di alcuni gruppi famigliari che sembrano, associati all’amianto, favorire una maggiore incidenza della malattia. Sono stati fatti studi anche in Italia dove per altro questo tipo di sindrome si è dimostrata estremamente rara. Per cui non esiste una predisposizione genetica al mesotelioma, A livello invece della genetica della malattia sicuramente ci sono situazioni di resistenza alla malattia, ma al momento non hanno impatto pratico nella cura dei pazienti».