Lo studio: anche piccole quantità di fumo passivo sono legate ad un maggior rischio di un grave disturbo del ritmo cardiaco, come la fibrillazione atriale. Nell’arco di 12,5 anni, 23.471 partecipanti, il 6% del totale, ha sviluppato la fibrillazione atriale
“I pericoli del fumo passivo restano significativi in ogni luogo, a casa, all’aperto o al lavoro, l’esposizione aumenta sempre il rischio di fibrillazione atriale”. Lo afferma Kyung-Yeon Lee dell’Ospedale dell’Università Nazionale di Seul, Corea del Sud, autore di uno studio che ha indagato proprio la correlazione tra il fumo passivo e le aritmie. La ricerca, presentata all’Ehra 2024, un congresso scientifico della Società Europea di Cardiologia (Esc), rivela che anche piccole quantità di fumo passivo sono legate ad un maggior rischio di un grave disturbo del ritmo cardiaco, come appunto la fibrillazione atriale.
Lo studio ha incluso adulti di età compresa tra 40 e 69 anni. In totale, 400.493 persone. Gli esperti hanno chiesto ai partecipanti il numero di ore in cui erano stati esposti al fumo di altre persone nell’arco di una settimana. Circa il 21% dei partecipanti (85.984) era stato esposto al fumo passivo nell’anno precedente, con una media di esposizione di 2,2 ore a settimana. Nell’arco di 12,5 anni, 23.471 (6%) partecipanti ha sviluppato la fibrillazione atriale. È emerso che il gruppo esposto al fumo passivo ha un rischio del 6% maggiore di ammalarsi di fibrillazione atriale rispetto al gruppo non esposto.
La fibrillazione atriale è il disturbo del ritmo cardiaco più comune al mondo. I sintomi includono palpitazioni, mancanza di respiro, affaticamento e difficoltà a dormire. Si stima che una persona su tre in Europa svilupperà la condizione durante la propria vita. Le persone con fibrillazione atriale hanno cinque volte più probabilità di avere un ictus rispetto ai loro coetanei sani. I ricercatori hanno scoperto che esiste una relazione dose-dipendente, per cui più si è esposti al fumo passivo, maggiore è il rischio. Ad esempio, 7,8 ore di fumo passivo a settimana si associano a un rischio dell’11% maggiore di sviluppare il disturbo del ritmo cardiaco.
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