Domani l’incontro tra Giorgetti e il commissario europeo per i vaccini Breton, l’Italia vuole produrre. Ma secondo una ricerca di Reputation Rating, gli italiani “giudicano male” le case farmaceutiche: prodotti buoni ma eccessivo orientamento al profitto
Si è concluso positivamente l’incontro al Ministero dello Sviluppo economico sulla possibilità di produrre vaccini anti-Covid in Italia. Domani seguirà il colloquio tra il commissario Thierry Breton e il ministro Giancarlo Giorgetti per codificare la partecipazione italiana al rafforzamento della produzione europea dei sieri. A comunicarlo il Mise con una nota.
Partecipanti all’incontro anche il presidente di Farmindustria Massimo Scaccabarozzi, il direttore generale Enrica Giorgetti, il direttore del Centro studi Carlo Riccini, il presidente dell’Aifa Giorgio Palù, il commissario per l’emergenza Paolo Figliuolo e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Franco Gabrielli.
La possibilità di dare avvio alla produzione non accadrebbe prima di sei mesi, dalle prime stime. Tuttavia, per il neo-formato governo Draghi si dimostra essenziale sviluppare un’indipendenza nella gestione delle immunizzazioni. Una necessità specificata anche durante la presentazione del nuovo Dpcm, valido fino al prossimo 6 aprile. Sconfiggere i ritardi e avere una presa più concreta sulla pandemia a livello nazionale restano gli obbiettivi principali.
Giorgetti, durante il Question Time alla Camera, ha parlato delle possibili modalità alle quali ricorrere. Tra queste la riconversione degli impianti industriali esistenti grazie ad adeguati ausili pubblici e appositi contratti di sviluppo. «In quest’ottica – ha aggiunto – si sta valutando anche l’opportunità di utilizzare contratti di sviluppo quale strumento idoneo a garantire il finanziamento delle attività della ricerca, anche applicata, e dello sviluppo».
Ma si sta valutando anche, ha ribadito Giorgetti, come già emerso dai due incontri al Mise con rappresentanti di Farmindustria e Aifa, «la possibilità di realizzare un polo nazionale pubblico-privato per la produzione di vaccini, che garantisca l’Italia non solo nella fase emergenziale, caratterizzata da ingenti tagli di sieri da parte delle aziende farmaceutiche rispetto agli impegni presi, ma anche per le future esigenze, tanto in campo vaccinale che della ricerca».
«La produzione di vaccini in Italia – ha concluso – è una valutazione di carattere strategico non connessa con l’emergenza perché la riconversione dei siti produttivi richiederà un minimo di 4-8 mesi. L’obiettivo è di rendere l’Italia nel quadro europeo autosufficiente rispetto a fatti, eventi e situazioni che temiamo possano ripetersi nei prossimi anni».
Nel frattempo, prevedibilmente, la fiducia degli italiani verso le aziende farmaceutiche è in caduta libera. In un anno è scesa del 21,45%, a partire dal primo caso di Covid-19. È l’analisi di una ricerca di Reputation Rating, società di analisi della reputazione attraverso l’omonimo algoritmo, che ha fatto il punto sulla situazione. «Sono emersi alcuni elementi che maggiormente hanno influenzato il risultato finale», ha spiegato la società. Per prima «la poca chiarezza nella comunicazione della reale efficacia del vaccino AstraZeneca», su cui la confusione iniziale generata dagli studi e dai media ha portato conseguenze tangibili. Proteste da parte dei destinatari e persino rifiuti da alcune categorie le più evidenti.
Seguono «una generale diffidenza verso le prime proiezioni di dosi effettivamente somministrate in Italia e la non coerenza nella gestione dei piani vaccinali a livello regionale». Modus operandi e priorità differenti per Regioni hanno, com’era prevedibile, infiammato gli animi delle categorie coinvolte e non. La Reputation ha poi definito “effetto alone” «le diatribe amministrative economiche e burocratiche che sembra abbiano accentuato la percezione di orientamento al profitto da parte delle aziende farmaceutiche». Ovvero la convinzione che, di fronte alle vite che i loro prodotti salvano, vengano comunque valorizzati i guadagni.
«La cosa paradossale, analizzando le varie dimensioni della reputazione – ha commentato Davide Ippolito, cofondatore di Reputation rating – è che non è messa in discussione l’efficacia dei vaccini, e dunque il driver “Prodotti e servizi”. È emerso, di fatto, che il 74,7% degli italiani pensa che siano efficaci e non ne discute la bontà. A essere maggiormente colpiti sono i driver come responsabilità sociale (Csr) e governance, quest’ultimo per la gestione, specie burocratica, nella distribuzione».
Il 63,41% degli italiani in rete accusa il settore farmaceutico di bassa responsabilità sociale e orientamento al profitto. «In particolare – ha proseguito – ci si chiede perché non si possa liberalizzare la produzione del vaccino, svincolando da qualsiasi logica commerciale». Dunque, «è la reputazione presso i cittadini a essere quella più colpita (-31% rispetto a febbraio 2020), seguendo un calo naturale delle Istituzioni internazionali (-14,20%)».
Investitori, fornitori, ministri e politici sono invece «stakeholder che, gioco forza, hanno aumentato sensibilmente la considerazione e reputazione nei confronti delle aziende farmaceutiche, con un +12,79%, trainato per gran parte dalla semplice crescita del numero delle menzioni da parte di questi stakeholder», ha concluso Ippolito, rimarcando la prevedibilità di questa affermazione.
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