Il nostro Paese è il più longevo d’Europa ma nell’ultima settimana è al quarto posto a livello mondiale per decessi da Covid-19. Cosa c’è che non quadra e come invertire la tendenza? La risposta di Federanziani
Per rispondere a una domanda che circola con insistenza da un po’ di tempo, occorre ribadire che i numeri del Covid in Italia non sono gonfiati e non hanno a che vedere con i metodi di conteggio, ma semmai con altri fattori che riguardano la salute complessiva del nostro Paese. Con i 145mila morti dall’inizio della pandemia continuiamo a registrare un numero di decessi in proporzione più elevato rispetto a quello di altri Paesi europei. Per restare ai dati dell’ultima settimana, il numero dei decessi ci colloca al secondo posto in Europa secondo la classifica dell’OMS, e addirittura al quarto posto a livello mondiale dopo Stati Uniti, Russia e India.
I numeri relativi alla mortalità non sono così elevati per via di una amplificazione dovuta al metodo di calcolo, ovvero non dipendono da un’estensiva interpretazione di ciò che significa morire di Covid. Le persone che alla morte hanno un tampone positivo, un quadro clinico compatibile con i sintomi del virus, e nelle quali non è rilevabile una chiara causa di morte diversa dall’infezione, sono nella quasi totalità anziani con patologie importanti in cui il virus è stato un elemento scatenante di un decorso che altrimenti presumibilmente non sarebbe stato letale. L’età media dei deceduti come sappiamo è di ottant’anni, e generalmente all’età avanzata si accompagnano diverse patologie pregresse. Questo significa che la questione che si pone è assai più ampia, ed ha a che fare con la qualità della longevità in Italia.
Il nostro è il Paese più longevo d’Europa, e continua ad esserlo benché la speranza di vita alla nascita si sia ridotta di 1,2 anni a causa della pandemia. Nell’ultimo mezzo secolo abbiamo attraversato uno dei processi di invecchiamento della popolazione tra i più rapidi di tutto il mondo sviluppato, al punto che le proiezioni per il 2050 ci parlano di una quota di over 65 che sarà pari al 35,9% della popolazione totale, con un’attesa di vita media di 82,5 anni. Una tale allungamento della vita è reso possibile non solo dagli straordinari progressi della medicina ma anche da un eccellente sistema sanitario che li rende accessibili in maniera universale e gratuita ai cittadini.
Tuttavia siamo ancora lontani da una longevità sana, centrata sulla prevenzione e sui corretti stili di vita. Ventiquattro milioni di italiani, infatti, perlopiù senior, convivono oggi con diverse patologie croniche, come le cardiovascolari, le malattie respiratorie, il diabete, le patologie oncologiche. Proprio questo quadro demografico con il relativo carico di cronicità, spiega la fragilità della popolazione italiana rispetto al Covid, e deve indurci a riflettere sulla profonda trasformazione necessaria al nostro sistema.
Occorre rafforzare la presa in carico dei pazienti affetti da cronicità, puntare sempre più sulla prevenzione delle patologie che affliggono la terza età e sulla promozione di un invecchiamento attivo, non solo perché altrimenti i costi del nostro Servizio Sanitario Nazionale diventeranno insostenibili, ma anche perché altrimenti il nostro Paese resterà tra i più esposti a esisti particolarmente disastrosi in caso di future pandemie. In questi due anni i cittadini hanno incontrato crescenti difficoltà nell’accesso alle cure ordinarie, alle visite specialistiche e alle indagini diagnostiche, agli interventi, hanno visto crescere in modo interminabile le liste d’attesa, hanno spesso rinunciato a curarsi, anche per motivi economici.
I pazienti ora non possono più aspettare. Solo se saremo in grado di offrire loro una medicina del territorio rafforzata, accesso tempestivo alle diagnosi, equità nelle cure, e una reale cultura della prevenzione, possiamo sperare di rafforzare il sistema immunitario dell’SSN per il benessere della collettività e di tutto il sistema.
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato