L’infettivologo Roberto Cauda nominato consulente per le malattie infettive all’EMA nell’intervista a Sanità Informazione: «Flurona, almeno per ora, non ha rilevanza epidemiologica. Tra metà e fine gennaio il picco della quarta ondata. A lungo termine è ragionevole ipotizzare che non si parlerà più di pandemia, ma di endemia»
Il professor Roberto Cauda, direttore UOC Malattie infettive, della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e Ordinario di Malattie Infettive presso l’Università Cattolica, campus di Roma, è stato nominato di recente componente dello Scientific Advisory Group (SAG) “Malattie Infettive” dell’European Medicines Agency (EMA). In un’intervista a Sanità Informazione, il professor Cauda racconta la sua reazione a questo importante riconoscimento e commenta alcuni degli aspetti più salienti della IV ondata della pandemia da Covid 19: dalla variante Omicron, a Flurona, fino alle nuove regole di quarantena cautelativa.
Professor Cauda, come ha accolto la nomina a componente dello Scientific Advisory Group “Malattie Infettive” dell’EMA?
«Per me è un grandissimo onore poter rappresentare l’eccellenza della ricerca italiana nel campo delle malattie infettive. Il SAG Infectious Disease, di recente creato, accorpa le competenze che in precedenza erano state proprie del SAG Anti-Infectives e del SAG HIV Viral Diseases. Ogni SAG è composto da 12 core members che restano in carica per un periodo di tre anni, quindi il mio mandato terminerà nel 2024».
Aumentano i contagi ed anche la diffusione di Omicron. Cosa sappiamo su questa variante?
«Omicron presenta delle caratteristiche nuove rispetto alle precedenti varianti: è cinque volte più trasmissibile della Delta. C’è chi sostiene sia più contagiosa anche del morbillo, considerata, ad oggi, l’infezione virale a più alta trasmissibilità. Attaccando maggiormente le alte vie respiratorie e non i polmoni origina forme meno gravi della malattia. I dati più recenti lo dimostrano: ad una crescita dei contagi del 150% corrisponde un aumento dell’occupazione delle terapie intensive di circa il 25%».
Cosa c’è da aspettarsi nel mese di gennaio?
«Innanzitutto, non bisogna abbassare la guardia. La situazione resta seria, poiché ad un numero di contagi così elevato corrisponde uno stress altrettanto importante delle strutture ospedaliere e dei reparti di terapia intensiva. Nel futuro immediato, complici anche le festività natalizie, c’è da aspettarsi un gennaio un po’ problematico. Alcuni sostengono che il picco di questa quarta ondata si verificherà verso la metà del mese, altri alla fine. In entrambi i casi, è evidente che in molte regioni italiane dovremmo prepararci ad un cambio di colore».
Cosa c’è da aspettarsi, invece, nel lungo termine?
«Difficile dirlo con certezza. Ma riferendomi ad un potenziale scenario condiviso da autorevoli esperti, posso dire che, attraverso la variante Omicron – più trasmissibile delle precedenti – aumenterà anche il numero di persone dotate di un’immunità di tipo naturale. Nel tempo, quindi, grazie a questa associazione tra immunità naturale e vaccini (in particolare con la terza dose) avremo una riduzione (dall’Europa, all’America, alla Cina) dei soggetti infettabili ed una conseguente minore circolazione del virus. A questo punto, non si parlerà più di pandemia, ma di endemia: il Sars CoV 2 circolerà come rumore di fondo nella popolazione vaccinata o protetta in maniera naturale dall’infezione, sfociando in occasionali forme gravi nei soggetti non vaccinati o non protetti».
Sarà necessario continuare a vaccinarsi contro il Covid 19 anche in seguito?
«Parlando in termini futuristici, saranno necessari dei richiami periodici, come già avviene, ad esempio, per l’influenza stagionale. Ad oggi è difficile stabilire quale sarà l’intervallo necessario tra un vaccino e l’altro. In Israele gli over 60 e il personale sanitario stanno già ricevendo la quarta dose a quattro mesi dalla terza. Mi auguro che in futuro possa rivelarsi una misura eccessiva: sottoporre l’intera popolazione ad una dose ogni 4 mesi rappresenterebbe un impegno importante per la sanità e distoglierebbe risorse e attenzione da altre malattie altrettanto gravi».
Da Israele, al Brasile, alla Croazia: sono diversi i casi identificati di “flurona”, ovvero la contemporanea infezione di influenza e Covid. Come è possibile che circolino due virus nello stesso corpo?
«Dal punto di vista puramente biologico siamo di fronte ad una novità. Basandoci sui dati a nostra disposizione, potremmo ipotizzare che ciò dipenda da una ridotta produzione di interferone nei soggetti infettati dal Covid, ovvero di quella sostanza che, di solito, evita che un soggetto affetto da una malattia virale possa essere infettato contemporaneamente da un secondo virus. Tuttavia, almeno per ora, non mi sembra un argomento di rilevanza epidemiologica. Ma è sicuramente un’ottima occasione per ricordare all’intera popolazione di sottoporsi anche al vaccino antinfluenzale, oltre a quello contro il Covid-19».
Dal 31 dicembre 2021 sono in vigore le nuove norme sulla quarantena per le persone che hanno avuto un contatto stretto con un positivo al Covid-19. Potrebbero influire sull’aumento dei contagi?
«Io credo di no. E mi spiego meglio. La circolare ministeriale ha stabilito che chi ha completato il ciclo vaccinale “primario” (da 120 giorni o meno) o è guarito da 120 giorni o meno o ha ricevuto la dose booster non è obbligato alla quarantena preventiva a seguito di un contatto con un positivo. Per questi soggetti è prevista un’auto-sorveglianza, con obbligo di indossare le mascherine FFP2 fino al decimo giorno successivo all’ultima esposizione al soggetto positivo. Ecco, riferendomi a questa misura credo che sia una risposta realistica ad un problema che potrebbe diventare enorme. Una soluzione utile a limitare il numero di lavoratori assenti e l’impatto sull’economia del Paese. Dovendo convivere con questo virus, pur non trattandosi di una misura perfetta, in una logica di rischio- beneficio, la considero realisticamente a basso rischio».
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