Cappa (neurologo): «E se fossero i test che misurano il quoziente intellettivo a non essere adeguati alla società in cui viviamo e non i giovani a possedere meno capacità di genitori e nonni?»
Siamo meno intelligenti dei nostri avi o abbiamo semplicemente sviluppato capacità diverse? Stando ai test che misurano il quoziente intellettivo (QI), la popolazione contemporanea sarebbe meno intelligente di quella vissuta qualche decennio fa. Ma leggere i risultati senza indagarne le motivazioni potrebbe indurre a conclusioni errate. Per questo, abbiamo chiesto a Stefano Cappa, professore di neurologia all’Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia, membro della Società italiana di Neurologia, di guidarci verso la comprensione delle ipotesi più accreditate.
Ma andiamo con ordine: prima di cominciare la nostra analisi è necessario qualche cenno storico sull’argomento.
Negli anni ’80 J. R. Flynn, psicologo e accademico statunitense, ha studiato come il quoziente intellettivo delle persone sia mutato nel corso di alcuni decenni. Per farlo, ha analizzato campioni di popolazione in una ventina di Paesi diversi. Alla fine delle sue ricerche ha rilevato un progressivo aumento del valore del quoziente intellettivo, con una crescita media di circa 3 punti per ogni decennio. Gli americani, ad esempio, hanno guadagnato più di 13 punti dal 1938 al 1984. Da questo risultato, definito in suo onore “effetto Flynn”, si è giunti alla conclusione che il QI possa essere ritenuto indipendente dalla cultura di appartenenza.
Successive analisi hanno poi dimostrato un’inversione di tendenza: il QI ha cominciato, anche se lentamente, a calare. «I dati emersi da questi studi sono senz’altro attendibili, se consideriamo che tali ricerche hanno coinvolto un numero molto rilevante di persone che vivono in diverse parti del mondo – sottolinea Stefano Cappa -. Ma le conclusioni restano tuttora un argomento di discussione: non c’è una spiegazione largamente condivisa e convincente sulle cause scatenanti di questo effetto».
La comparsa e diffusione su larga scala delle nuove tecnologie digitali e l’uso di sostanze stupefacenti sono tra le ipotesi più accreditate del calo del QI. «Oggi – commenta il neurologo -, risolviamo molti dei nostri problemi quotidiani attraverso supporti informatici, allenando poco la nostra capacità di problem solving. Quante persone, soprattutto tra i più giovani, sanno utilizzare, o hanno mai utilizzato, una mappa cartacea per raggiungere il luogo di un appuntamento? Ormai, ci si serve quasi unicamente del navigatore. Oppure – chiede ancora il professore -, quanti numeri telefonici conosciamo a memoria, avendo sempre a disposizione la rubrica del nostro smartphone?». Ma se da un lato la tecnologia ha affievolito alcune nostre capacità, dall’altro ha fatto emergere ed affinare altre potenzialità. «Pensiamo ad esempio alla velocità di reazione e di adattamento in contesti diversi che un bambino sviluppa attraverso l’utilizzo di videogiochi», aggiunge il professore.
Anche la possibile seconda causa alla base della diminuzione del QI, l’uso di droghe, sembra possa essere messa facilmente in discussione. «L’utilizzo di sostanze stupefacenti ha effetti negativi sul funzionamento cerebrale, in particolare sul sistema cognitivo. Di conseguenza – spiega Cappa – all’aumento della loro diffusione, soprattutto tra i giovanissimi, potrebbe essere associata una diminuzione del QI. Ma come può l’utilizzo di queste sostanze, seppur diffuso, causare un cambiamento su larga scala e in modo transculturale? – chiede il neurologo -. Credo che prima di giungere ad una conclusione che associ con certezza l’uso di droghe al calo del QI sarebbero necessari ulteriori approfondimenti».
Se tecnologie e sostanze stupefacenti non possono aver influito in maniera così preponderante sul nostro QI, che cosa è realmente accaduto all’intelligenza umana negli ultimi decenni? «Probabilmente nulla. Ma se volessimo rispondere in maniera più appropriata a questa domanda dovremmo aggiornare i test per il calcolo del QI». Il QI, infatti, corrisponde ad un punteggio ottenuto tramite uno dei molti test standardizzati, che si prefiggono lo scopo di misurare o valutare l’intelligenza e lo sviluppo cognitivo dell’individuo. «Test ideati 10 anni fa saranno senz’altro basati su capacità che oggi utilizziamo meno e che, pertanto, possono essersi modificate nella popolazione in generale, a favore di altre. Pertanto – dice Stefano Cappa – solo dopo aver ottenuto risultati da test più in linea con le capacità richieste dalla società contemporanea potremmo giungere a nuove e più valide conclusioni».
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