Somministrare solfato di magnesio alle donne a rischio di parto prematuro può ridurre il rischio di paralisi cerebrale nei nascituri. A dimostrare l’efficacia di questo approccio è uno studio pubblicato sulla rivista Cochrane Database of Systematic Reviews
Somministrare solfato di magnesio alle donne a rischio di parto prematuro, prima della 32esima settimana di gravidanza, può ridurre il rischio di paralisi cerebrale nei nascituri. A dimostrare l’efficacia di questo approccio è un gruppo di scienziati dell’Università di Bristol in uno studio pubblicato sulla rivista Cochrane Database of Systematic Reviews. I ricercatori hanno valutato l’efficacia del trattamento tramite il programma PReCePT, prevenzione della paralisi cerebrale nel travaglio pretermine, in inglese “prevention of cerebral palsy in pre-term labour”. Questa iniziativa fornisce strumenti pratici e formazione per garantire che alle madri idonee venga offerta questa opzione di trattamento.
Il solfato di magnesio, spiegano gli esperti, si somministra tramite flebo, ha un costo di circa sei euro a dose e dal 2015 viene raccomandato dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) per ridurre il rischio di paralisi cerebrale nelle donne a rischio di parto pretermine. L’implementazione di questo approccio a livello globale, però, rappresenta una sfida importante, dato che ancora non è reso disponibile in molte aree del mondo. “La nascita prematura – afferma Karen Luyt, scienziata che ha coordinato lo studio – rappresenta la causa principale di lesioni e paralisi cerebrale nei bambini, e può avere un impatto duraturo anche sulle famiglie. La somministrazione via flebo di solfato di magnesio previene queste complicazioni con un tasso di successo del 30 per cento”.
“Il nostro obiettivo – sottolinea Luyt – deve essere quello di offrire a ogni madre a rischio di parto pretermine la possibilità di ricevere il trattamento adeguato”. Tra il 2018 e il 2023, il solfato di magnesio è stato somministrato a 14.270 donne. Studi osservazionali e poi analisi cliniche randomizzate, hanno dimostrato l’efficacia di questo approccio. “È incoraggiante sapere che i tassi di adozione del solfato di magnesio sono in aumento in tutto il mondo”, commenta Lex Doyle, dell’Università di Melbourne. “C’è da precisare che il parto è poco prevedibile, per cui è ancora impossibile individuare tutti i casi di parto pretermine. Speriamo che nel prossimo futuro le possibilità di somministrazione aumenteranno anche nelle zone e nei contesti più complicati”.
“Nelle aree con risorse limitate – conclude Emily Shepherd del South Australian Health and Medical Research Institute – non tutte le strutture possono implementare questo approccio. Sarebbe utile per gli studi futuri stabilire la dose minima efficace e regimi alternativi o più semplici, in particolare la somministrazione intramuscolare, per favorire un’implementazione diffusa anche nei paesi a basso e medio reddito. Abbiamo bisogno di ulteriori ricerche per esplorare altre questioni che aiutino a ottimizzare la diffusione delle infusioni di solfato di magnesio. Ad esempio, dobbiamo capire in che momento è più efficace procedere con la flebo, se poco prima del parto o all’inizio del travaglio. Allo stesso tempo, è importante individuare biomarcatori che ci aiutino a non somministrare il trattamento a chi non ne ha bisogno e a offrirlo capillarmente a chi ne trarrebbe beneficio”.
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