Solo 9 mila tracciatori nel nostro paese e oltre il 33% dei nuovi casi senza un link epidemiologico, ovvero fuori dal contact tracing. Nelle Asl emergono le criticità su tamponi e gestione posti letto, a Napoli non c’è più posto
La seconda ondata è arrivata ufficialmente. Da due settimane anche l’Italia segue il trend europeo di risalita dei contagi, da cui inizialmente si era pensata al riparo. Oltre novemila i positivi registrati ieri su 98mila tamponi, dopo un weekend al rialzo in cui si è toccata soglia 11mila. Preoccupa più di tutto il tasso di positività registrato in questi giorni, il rapporto tra tamponati e positivi, che in Italia ha raggiunto il 10,4% (Gimbe). Superando di molto il 4% prescritto dall’Oms per una situazione “sicura”.
Secondo gli esperti (lo ha ribadito anche il fisico Giorgio Sestili sulle sue piattaforme social), quando questo dato subisce una repentina impennata è segno che l’attività di contact tracing non sta funzionando. Ovvero, che troppi dei casi positivi non hanno un link epidemiologico chiaro. Già i dati ufficiali del Ministero della Salute la scorsa settimana ammettevano che il 33% dei casi segnalati non era riferibile a una catena di trasmissione già nota. Il che significa oltre 9mila persone che non sanno come o dove si sono contagiate.
Tra governo e Regioni è un gioco allo “scarica barile” per le colpe di quello che sta succedendo adesso. Dal primo arrivano rimproveri per non aver utilizzato i fondi messi a disposizione per assumere nuovo personale e preparare le Asl alla seconda ondata. Dalle seconde il rimpallo sulle difficoltà burocratiche del procedimento, sulle differenze nelle infrastrutture disponibili e la mancanza di una linea guida sulla rinnovata collaborazione ospedale/territorio.
I tracciatori, ovvero coloro che seguono praticamente il contact tracing dei positivi, in Italia sono poco più di 9mila. Dall’estate sono aumentati di 275 unità. Dovrebbero corrispondere al rapporto di uno ogni diecimila persone, ma in Abruzzo, Calabria e Friuli non è ancora così. In Campania, in media, un contact tracer segue 27 persone, in Lombardia 17, nel Lazio 14. Le Asl faticano, sia nella gestione dei tamponi che dei pazienti a casa in isolamento e nei reparti Covid.
Il Piemonte, che ieri ha totalizzato oltre 900 contagi su 9mila tamponi, fino alla scorsa settimana riusciva a realizzarne poco più di 6mila. «Un problema di forniture» secondo il virologo Giovanni Di Perri, direttore della struttura malattie infettive dell’ospedale Amedeo di Savoia a Torino e componente della task force regionale anti Coronavirus. I centri di Novara e La Loggia, che dovevano provvedere almeno mille test al giorno stavano subendo dei ritardi per la consegna di materiali necessari.
Anche il tempo tra la segnalazione al medico di base e il risultato del tampone è stato oggetto di lamentele. Dai 5 ai 6 giorni, troppo per chi si trova in quarantena. Molte anche le segnalazioni da parte dei medici di famiglia che non riescono a raggiungere l’Ufficio di igiene per le segnalazioni. Il presidente di regione, Alberto Cirio, ha annunciato che da domani saranno disponibili i tamponi rapidi in strutture private, farmacie e medici di base per provare ad alzare il livello di screening della popolazione.
In Lombardia si parla di “due velocità” nella sanità. L‘Ats di Milano mostra le prime difficoltà nel seguire l’andamento del contagio e stare dietro a positivi, contatti e tamponi. Per contro, le strutture private offrono un servizio più rapido, con risultati anche in giornata, con prezzi però elevati. Troppi i giorni che trascorrono tra la comunicazione dell’esito del tampone ad Ats e l’avviso del positivo per la ricerca dei contatti stretti. Giorni in cui la persona contagiata può infettare altre persone. Ne passano anche 13 dalla prima comparsa dei sintomi all’effettuazione del tampone, inoltre.
In un’intervista su Fanpage, il direttore dell’Ats di Milano Vittorio Demicheli ha parlato del rischio, nelle grandi città, di non riuscire a tenere sotto controllo i focolai a questa velocità di trasmissione. «Nella nostra Ats abbiamo ridotto le attività comprimibili, è partito il sistema di prenotazione diretto dei tamponi, stiamo studiando la possibilità di allertare i positivi via sms per accelerare anche quel passaggio» ha aggiunto. E sulla possibilità di mettere in crisi anche gli ospedali ha detto: «Se si confermasse un aumento del 10-15 per cento al giorno di positivi, sul medio termine il rischio di mandare in sofferenza i servizi di ricovero c’è».
Nel Lazio si effettuano oltre 20mila tamponi al giorno, ma le file ai drive in hanno raggiunto proporzioni mai viste. Persone che sono state a contatto con un positivo, o hanno ricevuto una notifica da Immuni, che aspettano anche 10 ore in coda nella propria auto. Assembramenti di fronte ai laboratori e pronto soccorso congestionati da cittadini preoccupati. Fino ai tempi di attesa per i ricoveri, ora più lunghi per far fronte all’arrivo dei pazienti Covid.
Cgil, Spi e Fp Cgil di Roma e Lazio parlano di una rete ospedaliera «nuovamente in codice rosso» con operatori soli a gestire la seconda ondata di accessi. L’Inmi Spallanzani da cinque giorni accoglie solamente pazienti Covid-19, dopo aver comunicato una capienza arrivata tra il 60% e il 70%. «Questa disposizione – si legge in un comunicato – concordata con la direzione sanitaria e con tutta la rete ospedaliera del Servizio sanitario regionale, è necessaria per garantire la disponibilità dei posti letto per l’emergenza SARS CoV-2». Per far fronte all’affollamento, inoltre, da domani partirà il sistema di prenotazione per i tamponi messo a punto dall’Unità di Crisi regionale. Si tratta di una sperimentazione della durata di sette giorni.
La situazione in Campania è ormai già in emergenza posti letto. La regione è una delle più colpite dalla seconda ondata per numero di positivi e di ricoveri, che stanno riempiendo gli ospedali troppo in fretta. La rete 118 è in enorme difficoltà e il presidente di regione, Vincenzo De Luca, ha stabilito che per ridurre i numeri da venerdì arriverà il coprifuoco alle 23. È del 17 ottobre una nota inviata dall’Unità di crisi regionale a tutti i direttori delle Asl e alle aziende ospedaliere: «Attivare ad horas tutti i posti letto» indicati nel piano.
Per la terapia intensiva in Campania saranno messi a disposizione 301 posti, per la semintensiva 359, mentre i posti di degenza ordinaria saranno 991, per un totale di 1.651. Un provvedimento che arriva in tandem con la sospensione, fino a nuovo ordine, di tutti i ricoveri programmati non urgenti. A Napoli, dopo giorni di ambulanze di fronte all’ospedale Cotugno, si è arrivati alla saturazione. I posti di degenza Covid sono finiti. Ora i malati vengono trasferiti in altre strutture campane dove ci sono ancora letti liberi. I guariti, anche solo clinicamente, vengono dimessi con velocità e sono ancora pochi, secondo le fonti ufficiali, i posti in terapia intensiva.
«Non rendiamo vana la sofferenza dei mesi scorsi, altrimenti molto presto saremo costretti a vedere sfilare carri militari impegnati a trasportare altrove le bare dei nostri cari. Il Covid non lascia seconde occasioni, i nostri medici lo sanno bene. Per questo è bene dircelo fuori dai denti, la Campania è malata. Napoli è malata» è stato il pensiero, molto doloroso di Bruno Zuccarelli, vice presidente dell’Ordine dei medici del capoluogo partenopeo.
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