Nei primi dieci giorni di settembre verrà effettuata la mappatura dei territori e fatti interventi nelle aree a maggior rischio. Marina Munari (Direttore Unità operativa complessa rianimazione e neuro rianimazione Ospedale di Padova): «Quest’anno per la prima volta tanti casi nella forma neuro invasiva aggressiva che interessa sia la parte encefalica che midollare»
Con 122 casi accertati (65 con febbre e 57 con malattia neuro invasiva WNND) Padova resta la provincia più colpita e il Veneto con 227 casi la Regione più interessata dalla Febbre West Nile, provocata dal virus West Nile e trasmessa all’uomo e agli animali dalla puntura di zanzare infette.
Una situazione epidemiologica che la regione Veneto ha ritenuto emergenziale, al punto da predisporre ieri l’avvio del piano straordinario per il contrasto e la diffusione del virus. Il Piano, condiviso con il Ministero della Salute e l’Istituto Superiore di Sanità, prevede una serie di interventi da attuare nei primi dieci giorni di settembre con l’obiettivo di ridurre le infezioni nella popolazione più a rischio sulla base dei dati di sorveglianza epidemiologica raccolti dalla Regione, dalle ULSS e dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie.
Una mappatura dei comuni più a rischio che sono stati individuati nelle province di Padova, Rovigo, Venezia e Treviso a seguito di maggiori indagini di laboratorio è il primo intervento che verrà fatto grazie all’adozione di un nuovo strumento di valutazione che prevede la suddivisione delle aree in bianca, gialla, arancione e rossa. In particolare, sono previsti interventi straordinari larvicidi nei comuni a medio e alto rischio identificati con i colori arancione e rosso, interventi straordinari sulle zanzare adulte nei siti sensibili come parchi pubblici, strutture sociosanitarie e ospedali dei comuni ad alto e medio rischio a cui seguirà un monitoraggio sull’efficacia dei trattamenti effettuati. Infine, individuazione di cosiddette zone a tampone o buffer, ovvero aree territoriali classificate a medio rischio, ma confinanti con zone alto rischio, in cui verranno trattate come zone ad alto rischio per garantire maggiore protezione.
Dei 227 casi di West Nile registrati fino ad ora in Veneto, 123 hanno manifestato una semplice febbre mentre 104 una forma neuro invasiva e 14 sono stati i decessi in una popolazione età media di 83,6 anni con una prevalenza di maschi (85,7%). La febbre ad oggi è il sintomo più frequente, con cefalea, dolori muscolo-articolari accompagnato raramente anche da rush cutaneo. Meno dell’1% degli infettati dal virus trasmesso dalla puntura delle zanzare comune che punge principalmente dal tramonto all’alba, invece sviluppa una malattia come meningite, encefalite o paralisi facciale. Il rischio aumenta con l’età ed è più elevato fra gli adulti di oltre 60 anni di età. A seguire i 10 casi più gravi in terapia intensiva all’ospedale universitario di Padova (su 15 ricoverati) è Marina Munari, Direttore dell’Unità Operativa complessa di Rianimazione e NeuroRianimazione: «Rispetto a 10 giorni fa la situazione è più tranquilla – ammette -. Ad essere colpiti sono soprattutto maschi con un’età media di 75 anni con una paralisi flaccida ai quattro arti e pertanto con la necessità di essere ventilati». Il soggetto più giovane ha 51 anni ma chi ha meno di 60 anni ha un interessamento del sistema nervoso. Per tutti la fase iniziale sembra essere la stessa con febbre, in alcuni casi anche molto alta. «Non ci sono delle terapie specifiche, ma solo di sostegno con l’utilizzo delle immunoglobuline quando la sintomatologia è simile a quella della sindrome di Guillain-Barrè. Non possiamo ancora ad esprimerci però sull’efficacia, perché è trascorso ancora poco tempo».
Eppure, una soluzione, almeno sulla carta, ci sarebbe: il vaccino. A parlarne è stato Giorgio Palù, professore emerito di microbiologia e virologia dell’Università di Padova, oggi direttore di AIFA, che nel 2008 per primo riuscì ad isolare un caso di infezione da West Line sull’uomo. Al Corriere del Veneto ha confermato l’esistenza di un vaccino già sperimentato con successo sui Macachi perché in grado di prevenire l’infezione. «Il vaccino per l’uomo non è mai stato prodotto perché la forma non era così diffusa – conferma Munari -, quindi da parte delle aziende farmaceutiche non c’era interesse a svilupparlo su larga scala. Solo quest’anno per la prima volta abbiamo avuto tanti casi», conclude.
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